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13/11/24 ore

Poesì

POESÌ di Rino Mele. Piove dentro Notre-Dame

Non era ancora sera, lunedì 15 aprile 2019, quando è iniziata a bruciare la cattedrale più famosa d’Occidente. Un incendio durato molte ore e cui ha assistito il mondo intero. Abbiamo visto morire la nostra storia. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. Tripoli, bel suol d'amore

“Tripoli, bel suol d’amore” è una canzone patriottica del 1911, l’anno in cui (il 5 ottobre) le truppe italiane sbarcano a Tripoli: “Sai dove sorride più magico il sol? Sul mar che ci lega con l’Africa d’or”. È la retorica bugiarda che farà da sfondo a tutta la nostra tardiva pratica colonialista, iniziata nel 1882, fino al grottesco delirio dell’impero. Ora, insieme alle altre nazioni europee colpevoli di uguali scempi, ne paghiamo un’amara pena. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. Aceto e vino d’aprile

 

Mentre inizia la guerra in Libia, e noi stupiti guardiamo questo nuovo filo che l’ago spinge a tessere la fine, viviamo questo Aprile di falsa primavera secondo le sue figure simboliche. Quelle della croce e della resurrezione. La gara di corsa tra Giovanni e Pietro, tra stupore e dolore,verso il sepolcro e chi prima giunge non entra e lascia all’altro di varcarne la soglia, è raccontata da Giovanni (20, 4-8): “Currebant autem duo simul”. La frase di Macbeth disperato (atto V scena V) è “There is nor flying hence nor tarryng here” che viene tradotto da Guido Bulla, 2008, in contrasto con l’ansia dell’epilogo, in maniera leggera, quasi a sfiorare l’aria di una commedia, “C’è poco da indugiare o scappar via”. Nei miei versi ho adottato la traduzione di Gassman, dell’83. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. Tra voce e parola il dirupo del volo

Tra la phoné, la voce originaria, e la lingua è l’incrocio dei sentieri che il destino appresta a ognuno di noi. In questi versi parlo d’inganno e di mistero, con un riferimento a Il suicidio e l’animadi James Hillman, 1964: “La parola mistero viene dal greco myein, che è usata sia per la chiusura dei petali di un fiore sia per quella delle palpebre. È un naturale movimento di occultamento, che mostra la pietà della vergogna di fronte al mistero della vita, metà della quale ha luogo nell’oscurità”. In Psicologia e poesia, 1930, Garl G. Jung scrive: "Il cosmo in cui l'uomo crede di giorno, lo deve proteggere dai timori notturni del caos". Ed è lì, in quella dimensione notturna, s'annida l'origine carsica della lingua. Nella suaPolitica,Aristotele dice: “La voce è segno del dolore e del piacere e, per questo, appartiene anche agli altri viventi (…) ma il linguaggio è per manifestare il conveniente e lo sconveniente, così come anche il giusto e l’ingiusto; questo è proprio degli uomini”.

I quaranta versi del mio testo, Tra voce e parola il dirupo del volo, terminano con un tentativo appena accennato di analisi di Las meninas di Velazquez, 1656. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. Il gatto e il diluvio

La violenza quotidiana, la povertà e l’arroganza ci feriscono e la crisi sembra senza soluzioni: la comunicazione continuamente interrotta, deviata, l’umiliazione che ne deriva, il monologo ossessivo che sopravanza ogni attesa. È il tema di questi versi appena scritti. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. Il suicidio pensato di Leopardi e L'Infinito

Ieri, nella giornata del 21 marzo dedicata all'ingresso freddo della Primavera avvelenata, e alla Poesia, innumerevoli i riferimenti a Leopardi (e a L'Infinito, scritto nel 1819, a ventun anni). (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. Prigioniero di guerra

Ricordo il giorno in cui, sublime eretica e teologa, Paola Inghilleri (Lettera al teologo, edizioni Ripostes, 2001)con incandescente ardore disse che non esiste il cattivo ma il “captivus”, il prigioniero. Infine, l’episodio di cui parlo negli ultimi versi - come un nodo che rifiuta di sciogliersi - è accaduto lunedì 18 marzo a Utrecht. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. Nella 130 blu di Moro e nell’Alfetta che la segue, il sangue, la morte che soffoca

Quarantun anni fa, il 16 marzo 1978 in via Fani, a Roma, Aldo Moro è catturato dalle Brigate Rosse, nell’orrendo eccidio della scorta. Stasera, a Polla, nel Vallo di Diano, Antonio Di Nola (Logica Matematica), Emilio Giordano (Metodologia e Storia della Critica Letteraria) e Andrea Manzi (direttore del quotidiano online “Salerno Sera”) analizzano il mio libro Il corpo di Moroedito nel 2001 e ora riproposto in una seconda edizione con Oèdipus. Giovan Battista Piranesi, cui alludo in questi miei ultimissimi versi, ha inciso le sue sedici splendide tavole delle “Carceri d’invenzione” tra il 1745 e il 1750. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. Le persone, le cose e il vuoto che le divora

Nel ritratto di Alessando de’ Medici, di Pontormo, 1550, il giovane duca è raffigurato mentre su un piccolo foglio, “con uno stile in mano”, disegna la testa di una donna. Ritratto che “donò poi esso duca Alessandro a Taddea Malespina, sorella della Marchesa di Massa” (dice il Vasari). Probabilmente, Pontormo ha inciso nei segni del piccolo foglio il profilo di Taddea, mettendo in scena il desiderio di Alessandro. (... segue >)

POESÌ di Rino Mele. Un giorno non sapremo più parlare

Ferdinand de Saussure sembra a volte un architetto, studioso d’anatomia (“Si appoggia contro la parete anteriore del palato, lasciando però un’apertura a destra e a sinistra”) ma, ad un tratto, prorompe nella verità che ci piace ascoltare: “È impossibile” dice, “che il suono, elemento materiale, appartenga alla lingua”, poi abbassando il tono, come a dire un’ovvietà, e quasi gli sembra di essere pedante: “Per questa non è che un elemento secondario, una materia che essa mette in opera”. Le parole producono il pensiero.Se non esistesse la parola "dio" potremmo mai credere in Dio? Se non esistesse la parola "credere", potremmo mai credere di credere?

POESÍ di Rino Mele. L'illusoria finzione del presente

Lo sfuggirci del tempo presente è un dramma ineludibile, cui sono sottratti gli alberi, le piante, la felicità inorganica delle pietre, gli animali selvatici: di quelli domestici non so, oppressi dall’infelicità e dal contagio che rende il loro sguardo così simile al nostro. Nel numero del 3 febbraio 2019 de “La lettura” Claudio Magris (inFuturo) scrive: “In una lingua dell’Amazzonia ricordata da Canetti in Massa e potere, l’andare verso il futuro è espresso con lo stesso verbo che indica il procedere all’indietro; si va al buio verso l’ignoto, mentre l’orizzonte è il paesaggio da cui ci si allontana e che dunque si perde, si allarga, diventa più vasto e lontano”.

Infine, il mito d’Issione, citato alla fine dei miei versi. Per aver tentato di violare Era, la sposa di Zeus (ma era sola una nuvola somigliante che lui era riuscito a sedurre) fu condannato a girare perennemente legato con dei serpenti a una ruota. Nel quarto libro delle Metamorfosicosì Ovidio (la traduzione è di Ludovica Koch) scrive di quell’interminabile pena: “Rotea Issione inseguendo e fuggendo se stesso”.