“Un pupo agitato da pupari”, Giuliano Ferrara maramaldeggia sulle colonne del suo giornale e spara a zero su Antonio Di Pietro e il suo destino di serie B “di poliziotto,di laureato che non si vede, di magistrato coccolato da grandi mascalzoni, incline a note cadute di stile, e poi versato in una politica partitante e grottesca, tenuta in piedi da un giornalismo e una politica grotteschi”. Lo fa fornendo la sua interpretazioni di fatti raccontati da Maurizio Molinari che sembrano confermare le voci da sempre esistite di un legame stretto fra la Cia e il pool di Mani Pulite.
Da almeno trent’anni il movimento ambientalista italiano vive un frustrante paradosso. Molte idee «ecologiche», importate dall’Europa o dagli Stati Uniti, sono diventate patrimonio comune anche da noi… Eppure questa cultura, così latente nelle società occidentali, in Italia ha mancato tutte le occasioni per trasformarsi in forza politica solida, in grado di partecipare da protagonista al governo del Paese. È rimasta una storia minoritaria, da comparsa rumorosa quanto marginale, che si è perpetuata fino ad arrivare davanti ai cancelli dell’acciaieria Ilva di Taranto.
Un articolo pubblicato da Al Arabiya, sito di informazione di proprietà saudita ma basato a Dubai (Emirati Arabi Uniti), ha raccontato la storia – molto breve – di Ehna, una rivista online egiziana dedicata alla comunità omosessuale.
Qualche settimana fa il gruppo radicale al Consiglio regionale del Lazio presieduto dall'avvocato Giuseppe Rossodivita ha pubblicato sul sito internet il proprio bilancio. Un documento impressionante, che illumina un angolo del capitolo costi della politica finora tenuto accuratamente all'oscuro. Ovvero, i contributi che le Regioni erogano ai gruppi «consiliari».
Mo Farah, arrivato da rifugiato in Uk, ora è l’eroe nazionale: dopo aver vinto 10mila e 5mila metri è stato ricevuto anche da Cameron. Saamiya, invece, che aveva corso i 200 metri alle Olimpiadi di Pechino – erano solo in due gli atleti somali – a Londra non c’era: è morta in una carretta del mare cercando di raggiungere l’Occidente per fuggire dalla guerra.
Quello fra politica e giurisdizione è forse il principale conflitto che attraversa le democrazie liberali contemporanee. Mentre per il costituzionalismo post-rivoluzionario francese il giudiziario, sulla scorta di Montesquieu, era inteso come un potere nullo, pallido contraltare rispetto alla legge (espressione della volontà generale e della sovranità popolare), il secondo dopoguerra ha visto un forte arretramento della legislazione e della politica rispetto alla giurisdizione.
La Primavera araba, versione egiziana, conosce una nuova, sorprendente fase. Muhammad Morsi era fino a pochi giorni fa un presidente dimezzato. Oggi è un capo dello Stato con ampi, anzi illimitate prerogative, in quanto non precisate da una Costituzione. La quale non esiste. È ancora da scrivere. Non si sa neppure con esattezza quanto debba durare il mandato presidenziale.
Dall'Australia giunge la notizia che alcuni influenti politici australiani ed ex capi della difesa hanno chiesto al governo di istituire un'inchiesta indipendente, simile a quella condotta da Sir John Chilcot in Gran Bretagna, sul ruolo del loro paese durante l'invasione dell'Iraq.
“Io penso che abbandonare l’acciaio sarebbe una sconfitta, bisogna mettere in equilibrio il lavoro e la salute. Nelle carte dei magistrati c’è il percorso. L’ambientalizzazione della fabbrica può essere fatta solo a impianti accesi”. Peraltro, “L’Ilva rispettava i limiti e si è adeguata alla legge regionale sulla diossina, ma l’Ilva è anche una metropoli che per 60 anni è stata un propagatore di veleni”. La posizione di Nichi Vendola sull’acciaieria di Taranto, com’è naturale per un uomo che rifiuta le facili semplificazioni, è un po’ complessa...
Qualche giorno fa era il “compleanno” dell’ormai quinquennale rubrica della Gazzetta dello Sport che si chiama “Notizie che non lo erano”, che nacque perché ci parve che in una particolare settimana fossero circolate molte notizie che appunto si rivelarono poi false: e poi provammo a farla ancora e ci rendemmo conto che quella frequenza non era straordinaria. di Luca Sofri
La principale e apparente ragione per cui la crisi siriana è così lunga, travagliata e sanguinosa è che il paese è diviso tra etnie, religioni, gruppi di potere, interessi vecchi e nuovi, che hanno bisogno di un estenuante processo per scomporsi e, prima o poi, ricomporsi. di Maria Grazia Enardu (*)