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16/04/24 ore

Fiat, travolti da un prevedibile destino


  • Antonio Marulo

La Panda non è un’automobile in via d’estinzione. Anzi, è l’unica Fiat prodotta in Italia che gode di discreta salute. Gli altri modelli, un po’ ammuffiti, pagano la dura legge del mercato e della crisi. Per questo l’ad del Lingotto Sergio Marchionne ha rivisto i suoi programmi d’investimento: il progetto Fabbrica Italia, datato 2010, è stato superato dagli eventi. In soldoni, la multinazionale, sempre meno italiana, non ha più tanta voglia di bruciare denari nel Belpaese.

 

C’è chi si è sorpreso di questa retromarcia. Eppure, i segnali in tal senso ci sono stati, eccome, in questi mesi: dal rinvio del lancio di nuovi modelli, alle dichiarazioni “perdenti” di Marchionne ad ogni risultato negativo nelle vendite, compreso l’attacco sulla concorrenza “sleale” dei tedeschi.

 

Ma se si va non troppo indietro nel tempo, la strategia poco italiana del manager italo-canadese già si scorgeva nel 2011, quando dichiarò che “il cuore della Fiat era e resterà in Italia, ma la testa deve essere in più posti: in Italia per il mercato europeo, in Brasile, a Detroit, in Asia nel futuro...”.

 

Ora, si dà il caso sfortunato, ma prevedibile, che il mercato europeo va disastrosamente. Di qui il rischio che la testa italiana cada quanto prima: un’ipotesi che col passare del tempo si fa più concreta. Del resto, i vertici di Fiat-Chryisler seguono gli istinti animali del mercato, lasciando poco spazio ai sentimentalismi e alle convenienze di una nazione in declino. Chi si era illuso del contrario ha sbagliato, chi ha pensato che la Fiat potesse essere plasmata ancora su misura dello Stivale e viceversa non ha considerato che una certa stagione è finita.

 

Cesare Romiti, deus ex machina del passato non troppo lontano, ha detto che “quando un’azienda automobilistica interrompe la progettazione vuol dire che è destinata a morire”. Un po’ quello che stava accadendo negli anni Novanta, quando con modelli vecchi si tentava di reggere la concorrenza, contando sull’aiuto dello stato e sulle inutili e controproducenti rottamazioni, mentre - e Romiti ne sa qualcosa - la dirigenza cavalcava la cosiddetta finanziarizzazione dell’economia.

 

Ma quelli erano altri tempi, bei tempi si può dire, se è vero che la famiglia Agnelli vantava senatori a vita (Gianni) e per un periodo addirittura un ministro degli Esteri (Susanna). Oggi, invece, degli Agnelli in Fiat è sparito anche il cognome. Il rampollo Elkann, dal canto suo, sembra fatto apposta per accompagnare l’uscita definitiva dall’auto della famiglia blasonata, in concomitanza, forse, con la perdita completa per l’Italia dell’industria automobilistica.


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