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01/05/24 ore

Storie di mafia, storie da ricordare (15): Salvatore Mineo, morto per mano della mafia il 29 maggio del 1920



La mafia, la sua storia e le sue vittime: questo è tutto quello che andrebbe, di volta in volta, riportato alle nostre nuove generazioni per farle diventare attori e attrici principali della rinascita e dello sviluppo, culturale e sociale. Le vittime, purtroppo in molte dimenticate, sono tantissime e andrebbe rivalutata ogni singola storia e ogni singolo volto: uomini e donne che hanno immolato la propria vita contro un cancro chiamato “criminalità organizzata”.

 

Non possiamo dimenticarle o farle dimenticare; tutto quello che noi dobbiamo fare è riportarle in auge e farle conoscere. In questa nuova rubrica parleremo di un’altra vittima innocente: Salvatore Mineo, morto per mano della mafia il 29 maggio del 1920, all’età di 52 anni.

 

Nato e cresciuto in una famiglia che, per le ricchezze dell’epoca, era considerata, non ricca, ma comunque benestante, divenne subito, nella sua prima carica pubblica, esattore delle tasse a livello comunale. Proprio nel 1913, in occasione dell’avvento delle masse popolari all’interno della vita politica nazionale grazie all’estensione del suffragio, Mineo iniziò il suo nuovo e importante percorso di impegno politico diretto, sempre a difesa dei diritti dei più deboli.

 

Lavorò al fianco del popolo all’interno del fronte democratico-riformista, affermandosi ben presto come capo dell’opposizione nei confronti dell’amministrazione politica in carica in quel periodo storico.

 

Proprio in quei duri anni di lotte e sopraffazione, si affermò e iniziò a muovere i primi passi la prepotente gestione criminale e mafiosa della locale casa comunale: nacque proprio in quel periodo storico la sindacatura e il potere di Antonino Puleio che, lo stesso Mineo, definiva, in maniera del tutto sprezzante, "Ninu u latru”.

 

Puleio, sfruttando l'emergenza dello stato di guerra crescente in quel periodo, creò, nell'arco di pochi anni, un vero e proprio sistema di potere perfetto, sempre e solo a livello criminale: un coacervo di violenza, illeciti di ogni specie, affarismo spregiudicato che si reggeva sull'uso della forza criminale.

 

Mineo si scagliò con forza contro tutto ciò, senza paura e senza timore: in maniera molto dura disse ciò che era sotto gli occhi di tutti ma che nessuno (solo in pochi) aveva in coraggio di far venire a galla. Arrivò ad accusare pubblicamente Puleio e i suoi sodali, li denunciò a tutti gli organi di Polizia, arrivando sino ai vari rappresentanti del Governo delegati su questo aspetto: tutto questo clamore portò a far scattare, nel dopoguerra, un'inchiesta prefettizia (bloccata sul nascere, purtroppo, dai protettori dei mafiosi).

 

Mineo non si scoraggiò, continuò la sua lotta, lavorando per incoraggiare anche gli altri cittadini a fare lo stesso: attraverso una vera e propria cooperativa, spinse i contadini a unirsi per chiedere le terre in affitto.  Mineo era diventato, ben presto, una voce ed un personaggio troppo scomodo per i mafiosi e i criminali dell’epoca: non potevano accettare questi continui attacchi e dovevano punire una simile "tracotanza", zittire questa voce libera.

 

Purtroppo misero in campo il loro piano e raggiunsero il loro scopo: furono pagati due sicari per ucciderlo mentre stava conversando in piazza; era, come sottolineato all’inizio del nostro viaggio sulla figura di Mineo, il 29 maggio del 1920. 

 

Tutti a San Giuseppe Jato compresero subito il messaggio e rimasero in silenzio; solo quando l'associazione criminale venne sgominata (in seguito agli arresti comandati nel 1926 dal Prefetto Mori), alcuni di essi raccontarono senza più freni ai giudici il solitario sacrificio di un umile eroe.

  

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