di Dario Caputo
La storia continua, la nostra storia nel ricordo e nell’affrontare tematiche delicate, quanto importanti, va avanti: le vittime di mafia devono essere ricordate e il loro sacrificio deve essere ripreso e portato avanti dalle nuove generazioni.
Non bisogna mai dimenticare questi uomini e queste donne, a volte anche neonati o bambini privi di ogni forma di “possibile” colpa, che hanno donato la loro vita per dei valori, per la libertà e per i diritti.
Dopo le tante storie già affrontate, andiamo ad affrontare oggi quella di Pietro Ponzo, il contadino socialista ucciso nel febbraio del 1921, all’età di 69 anni.
Fin da subito, fin dai fasci siciliani, fu impegnato nella lotta dei campi e venne così nominato Presidente della Cooperativa agricola di Salemi: Pietro nacque a Vita, in provincia di Trapani, il 18 ottobre del 1851, da un’umile famiglia che aveva avuto nel sangue, fin da sempre, la voglia di lottare per i diritti dei lavoratori.
Negli anni della lotta, definiti il “biennio rosso”, ovvero quello che va dal 1919 al 1920, aderì alle manifestazioni e agli scioperi latifondisti, tra questi in particolare quello di Mokarta, tra Salemi e Mazara.
La lotta per i diritti degli uomini e delle donne che lasciano il proprio sudore, anche il proprio sangue, sui terreni della Sicilia, è stata sempre presente nel suo dna, arrivando a dare la propria vita per tutto questo, lottando fino alla fine dei suoi giorni.
Ricordiamo bene che, soprattutto in quell’area del nostro amato paese, il sistema mafioso non ha mai abbandonato le sue origini e, ancora dopo la Seconda Guerra Mondiale, nelle campagne siciliane, continuava sempre a dettare legge, comando e paura. La funzione di garante della conservazione, da parte della mafia e dell’intero mondo della criminalità organizzata, fu ancora più evidente quando si trattò di arginare le rivendicazioni del movimento contadino, nella prima metà del XX secolo che, dopo l’esperienza della protesta dei fasci dei lavoratori, si andò organizzando in leghe e cooperative per la tutela dei braccianti e per la gestione diretta della terra.
Proprio contro questo tipo di organizzazione di contadini e lavoratori, si rivolse spesso la mafia e tanti sindacalisti, lavoratori e agricoltori furono oggetto di violenze e intimidazioni. Come già anticipato in precedenza, dopo aver partecipato al Movimento dei fasci siciliani, il contadino socialista Pietro partecipò alle tante manifestazioni che si susseguirono in quegli anni e alle varie occupazioni delle terre, per l’assegnazione dei latifondi, diventando, ben presto, un simbolo da stroncare da parte della mafia.
Così, il 19 febbraio del 1921, nelle campagne della sua città, il sindacalista dei braccianti fu ucciso dalla violenza mafiosa che ne voleva cancellare, non solo il ricordo e la forza, ma anche la vita. Da tutte le ricostruzioni effettuate e a quanto riportarono i parenti del povero Pietro, anche in questo caso e come tanti delitti di mafia, la giustizia arrestò, processò e condannò gli assassini ma, al di là degli esecutori, non fu in grado di trovare e colpire anche i mandanti del delitto che rimangono, tutt’ora, nell’oscurità.
Dalla polvere del tempo, dal sudore e dal sangue versato sulle terre siciliane resti, di questo contadino sindacalista, il ricordo del suo impegno, quale ennesimo segno tangibile, della volontà di un popolo di liberarsi della morsa degli sfruttatori e di ribellarsi ai soprusi.
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