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05/12/25 ore

Referendum sul lavoro o referendum per Landini?


  • Luigi O. Rintallo

Dal 2019 Maurizio Landini, dopo aver guidato a lungo la Federazione metalmeccanici, è segretario del sindacato CGIL e per oltre cinque anni non si è accorto di quanto le norme sul lavoro approvate nel 2015 sotto il governo Renzi – allora anche segretario del PD – fossero, come sostiene oggi in vista della consultazione referendaria promossa solo il 25 aprile 2024, lesive della “dignità dei lavoratori”.

 

Altrettanto può dirsi a proposito delle forze politiche – PD e Alleanza Verdi Sinistra – pronunciatesi per il SI’ all’abolizione delle leggi sottoposte a referendum, visto che dei dieci anni trascorsi da allora ben sette li hanno visti al governo del Paese e in grado di cambiarle perché in maggioranza nel Parlamento, tenuto conto anche che nel 2019 Renzi lasciò il PD per fondare Italia Viva e pertanto i successivi dirigenti del partito hanno avuto tutto il tempo per modificare la normativa che regola i rapporti di lavoro.

 

Basta questo dato di fatto per evidenziare come i prossimi referendum non rivestono rilevanza agli occhi dei promotori per il loro merito, ma sono piuttosto utilizzati ad altro scopo. In questo senso essi, anziché massima espressione del coinvolgimento diretto dei cittadini, rientrano nella categoria di “partecipazione fittizia” descritta in un editoriale del direttore Giuseppe Rippa, per cui la società italiana viene “indotta a fenomeni di partecipazione e di mobilitazione politica, ma mobilitazione di fatto quasi sempre guidata, controllata, indotta dai vertici prima dei partiti (quando ancora esistevano), oggi delle corporazioni e delle burocrazie costruite dai partiti prima della loro deflagrazione”.

 

Proprio questa deformazione dello strumento referendario ha contribuito, assieme agli interventi operati dalla Corte costituzionale per sabotare l’espressione diretta di quella sovranità popolare in teoria a fondamento della Repubblica e che la stessa Corte dovrebbe salvaguardare, a disinnescare le potenzialità innovative insite nei referendum e ad affievolire l’interesse degli elettori verso questa forma di democrazia diretta. 

 

Se delle dieci tornate referendarie celebrate dal 1995 al 2022, solo due (monopolio RAI e acqua pubblica) hanno superato il quorum la spiegazione non va ricercata tanto nell’aumentata indifferenza o nella riduzione di senso civico degli elettori, quanto piuttosto nella consapevolezza della vanità del voto espresso nei referendum. Tale consapevolezza ha preso forma già nello scorcio finale della prima Repubblica, quando la vittoria dei SI’ ai referendum è stata clamorosamente disattesa.

 

È stato così per la responsabilità civile dei magistrati del 1987, ma anche per l’abolizione del finanziamento pubblico e delle trattenute sindacali, come pure per il passaggio al sistema elettorale uninominale del 1993. E lo stesso è accaduto per il referendum del 1995, quando la maggioranza dei votanti (il 54,9%) si espresse per la privatizzazione della RAI che in trent’anni è rimasta lettera morta senza che il Parlamento prendesse atto del responso popolare.

 

Assistere ora a una campagna referendaria nella quale scopertamente non è dato rilievo al contenuto dei quesiti proposti, ma all’uso politico che del voto nelle urne si intende fare nella prospettiva del confronto interno tra i partiti che si oppongono alla maggioranza di governo, manifesta solo il modo spregiudicato di considerare il rapporto con gli elettori da parte degli esponenti politici e sindacali che la promuovono.

 

E conferma, ancora una volta, che partiti e burocrazie sindacali non hanno affatto a cuore incrementare il livello di partecipazione democratica e responsabile dei cittadini, ma strumentalizzare ai propri scopi di parte il voto referendario.

 

Indipendentemente dal raggiungimento o meno del quorum, quello che conta è poter mettere il cappello sui milioni di voti favorevoli, così da poterli giocare sul tavolo della partita per la guida e l’indirizzo dell’azione politica delle forze di opposizione al Centrodestra. 

 

Un caso da manuale di uso privato dell’esercizio di voto. 

 

 


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