di Fabiana Magrì
Quando Yigal Carmon decifra le mosse di Israele, Hamas o del Qatar lo fa con la postura di chi per decenni ha trattato questi temi dall’interno delle stanze di guerra e continua a leggere la regione come pochi altri. Ex colonnello dell’Aman – l’intelligence militare israeliana – e consigliere antiterrorismo dei primi ministri israeliani Yitzhak Rabin e Yitzhak Shamir, oggi presiede il Middle East Media Research Institute (Memri).
In queste ore Israele avanza a Gaza City per spingersi in aree ancora non battute dall’esercito. Chi ha ragione sulla pressione militare israeliana su Hamas: chi dice che mette in pericolo gli ostaggi o chi sostiene che è indispensabile per salvarli?
«Prima di tutto, vorrei sottolineare che gli ostaggi sono stati portati a Gaza con un atto di ferocia e, da un punto di vista morale, dovrebbero essere restituiti senza condizioni. Però l’unico modo però per salvarli è fare pressione sul Qatar che, negli anni, ha finanziato Hamas e ogni chilometro di tunnel nella Striscia».
Per Gaza la destra nazionalista al governo parla dell’ipotesi di un’occupazione israeliana totale, non solo militare ma anche amministrativa, anche se Netanyahu a parole lo esclude. Cosa si aspetta?
«Se occupa Gaza City, Israele avrà la responsabilità e dovrà provvedere all’amministrazione della città e della vita della popolazione. Sarebbe una pessima idea».
Lei si aspetta che da questa operazione possano uscire – vivi o morti – ostaggi israeliani?
«Hamas ha già detto che un’operazione militare metterà a rischio la vita degli ostaggi. L’hanno già deciso. Torno a ripetere che l’unico modo per riportare a casa tutti gli ostaggi è la pressione sul Qatar perché il Qatar è Hamas e Hamas è il Qatar».
Israele rischia un’implosione interna per la crescente pressione nella società e tra società e governo?
«L’implosione è già un dato di fatto ma è contenuta dalla comprensione che altri attacchi dal Sud e dal Nord, come il 7 ottobre, sono un rischio concreto».
E fino a che punto Israele può permettersi di ignorare il declino della sua legittimazione internazionale?
«Il problema non è la legittimazione internazionale ma come finire la guerra senza che Hamas resti al potere, minacciando non solo Israele ma anche l’Olp. La vittoria di Hamas rappresenta la vittoria dei Fratelli Musulmani finanziati dal Qatar che, con la loro ideologia integralista, minano l’esistenza stessa dei Paesi moderati come gli Emirati Arabi».
Israele sta distruggendo Gaza, come l’accusa il mondo intero, o la sta liberando da Hamas, come sostiene Netanyahu?
«C’è distruzione a Gaza. È una tragedia incommensurabile. È però impossibile ignorare il fatto che Hamas usa la popolazione e le aree abitate come scudi umani. Ciò va contro il diritto internazionale».
Cosa emerge dai suoi canali – analisi regionali, media, fonti arabe – sull’atteggiamento dei Paesi arabi (amici e nemici) rispetto alla solidarietà con Gaza e alle relazioni con Israele? Ci sono campanelli d’allarme o, al contrario, segnali positivi a cui dovremmo prestare maggiore attenzione?
«Nel mondo arabo vengono espresse sempre più critiche nei confronti di Hamas. Daoud Al-Shirian, analista saudita, ha recentemente scritto: “Hamas ha condotto questa guerra da solo, senza un mandato popolare e senza alcuna visione per il successivo alla distruzione”. Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, nella sessione del 23 aprile 2025 del Consiglio centrale palestinese, ha preso Hamas a male parole, gli ha intimato di andarsene da Gaza e di rilasciare gli ostaggi israeliani, scatenando virulente critiche in Qatar».
Israele ha approvato il piano edilizio nell’area E1, che di fatto taglierebbe in due la Cisgiordania. È la morte accertata per la soluzione a due Stati?
«Sì, lo è. La speranza per la soluzione a due Stati si è dissipata, negli anni, per l’insistenza dell’Olp sul “diritto del ritorno” in territorio israeliano che significherebbe, demograficamente, la fine di Israele».

