Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

01/05/24 ore

Grazia, l’errore di Napolitano



Il Foglio del 30 aprile 2014

 

Al di là dell’opinione espressa da Silvio Berlusconi, che naturalmente è parte in causa, sembra abbastanza chiaro che l'esercizio da parte di Giorgio Napolitano della sua facoltà di grazia a favore di un esponente politico di primo piano, che era stato oggetto di una straordinaria e palesemente orientata pressione giudiziaria. sarebbe stato un atto perfettamente coerente con la volontà di pacificazione nazionale più volte espressa proprio dal presidente della Repubblica.

 

Si potrà ancora a lungo discutere in modo accademico se il non averlo fatto — non aver cioè concesso la grazia motu proprio all’ex presidente del Consiglio — sia stato un errore oppure l'effetto di una concezione politica particolarmente ostile. Ma è evidente che la conseguenza concreta di quella omissione del Quirinale è stata il fallimento dell’obiettivo della pacificazione, che era la pietra angolare dell’accettazione del secondo mandato presidenziale da parte di Napolitano.

 

Il motivo del ritiro di Forza Italia da una maggioranza che aveva perso il suo senso originario — ma non dall'impegno per le riforme, come ha dimostrato il senso di responsabilità di Berlusconi — risiede anche, se non soprattutto, nel comportamento incoerente di Napolitano.

 

Non sono ancora chiare le ragioni che hanno indotto il presidente a rifugiarsi dietro i consueti pretesti formalistici che hanno impedito una decisione favorevole alla grazia. È chiaro che così il presidente ha lasciato andare alla deriva un progetto di pacificazione e di architettura politica cui aveva lavorato per anni, come premessa indispensabile di un rinnovamento istituzionale condiviso.

 

Non si è trattato semplicemente di una mancanza di coraggio, visto che aveva ben dimostrato di possederne, assumendosi di fatto la responsabilità di due successivi “governi del presidente".

 

Nemmeno gli mancavano gli argomenti giuridici e la forza politica per dare corso a un atto di grazia che avrebbe sciolto molti nodi che restano invece aggrovigliati. Forse quello che lo ha frenato è l'ambiente culturale prevalente nel quale è immerso, e di cui sono sintomo i senatori a vita che ha nominato nell'ultima infornata, un ambiente connotato da una adesione quasi fanatica a quel giustizialismo politicamente corretto che è la tomba della buona politica.

 

Editoriale da Il Foglio del 30 aprile 2014

 

 


Aggiungi commento