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03/05/24 ore

Giustizia: perché dire "sì" ai Referendum dei Radicali



di Mauro Calise (Il Mattino 2 settembre 2013)

 

La firma di Berlusconi, sabato, al tavolo referendario di Pannella - al di là del risalto mediatico della foto della strana coppia - innesca due processi importanti, entrambi destinati ad emergere con più nettezza nelle prossime settimane.

 

 

Il primo riguarda la scelta del Cavaliere di buttare tutto il proprio peso - residuo - in una campagna che, partita in sordina, coinvolgerà e dividerà presto i principali partiti. A cominciare dal Pdl, preso in contropiede dall'adesione dei proprio capo a referendum - come quello sulla depenalizzazione delle droghe leggere e sul reato di clandestinità - che sono in netto contrasto con le posizioni ufficiali del partito.

 

Ma Berlusconi sapeva bene che l'effetto - annuncio avrebbe funzionato molto meglio evitando qualche distinguo. E ciò che davvero gli preme è ribadire che intende continuare, a oltranza e anche fuori del Parlamento, la sua battaglia contro lo strapotere della magistratura, a qualunque costo e con qualsiasi alleato.

 

Col che arriviamo alla seconda miccia innescata ieri, che investe direttamente il Pd. Con l'appoggio dei berlusconiani, è praticamente sicuro che i referendum riusciranno a raccogliere le firme necessarie, e ad approdare al verdetto popolare. Come si schiereranno i democratici? Che posizione prenderanno rispetto ai due quesiti più caldi - separazione delle carriere e responsabilità civile dei giudici - e, più in generale, sul tema della riforma della magistratura su cui, negli ultimi vent'anni, non si è riusciti a fare un solo passo avanti?

 

Il Pd ha smesso da tempo di avere, su questo tema, le posizioni barricadiere e monolitiche che il centrodestra gli rimprovera. Basta leggere l'intervista su questo giornale al senatore democratico - ed ex - magistrato - Felice Casson. Ma resta vero che, fino ad oggi, ha evitato scelte dolorose, approfittando degli attacchi ad alzo zero ripetuti dal Cavaliere contro l'insieme della magistratura per rifugiarsi nella doverosa difesa di un organo fondamentale dello Stato. Stavolta, però, sarà molto più difficile lavarsi pilatescamente le mani. Col rischio di una clamorosa sconfitta su un terreno estremamente delicato per la tenuta del paese.

 

Le questioni che Pannella e i Radicali hanno rimesso all'ordine del giorno non si esauriscono, infatti, nell'annoso contenzioso tra il Cavaliere e alcuni tribunali. Ma investono, pesantissimamente, una quota enorme di cittadini comuni. Che guardano, ormai, alla giustizia come all'esempio più eclatante del fallimento del sistema politico. A cominciare dall'inefficienza insopportabile di un apparato giudiziario che ci vede come il fanalino d'Europa quanto a lungaggine dei processi.

 

Alzi la mano chi non ha un parente, o un amico, la cui vita è stata devastata da un provvedimento il cui costo economico gli è risultato fatale, e contro il quale pende ancora, dopo cinque o dieci anni, un ricorso il cui esito, quando arriverà, riparerà solo in minima parte il danno ormai perpetrato. Una lentezza cui fa da contraltare la rapidità fulminante con cui una decisione del Tar può rendere non esecutivi miglia di concorsi pubblici o appalti per milioni di euro. Per non parlare del fatto - abnorme in ima democrazia - che il principale organo cui spetta sopraintendere alle attività dei magistrati è un organismo eletto dagli stessi magistrati che deve controllare, e regolarmente diviso - more italico - in correnti di vario colore con il compito neanche troppo implicito di proteggere i propri adepti.

 

Per questi - e molti altri motivi che sono ben presenti a chi finisce nel tritacarne della malagiustizia - i referendum incontreranno, tra i votanti, un ampio appoggio bipartisan. Col rischio di mettere alla gogna - e in ginocchio - una intera categoria nella quale, fatte le solite eccezioni, milita soprattutto una parte migliore del paese.

 

Moltissimi magistrati, infatti, sarebbero i primi a schierarsi a favore di una seria riforma che li metta, una volta per tutte, in condizione di far fruttare meglio il lavoro indefesso che metto - no al servizio della collettività. E forse, ora che si intravede l'ultimatum dei referendum, anche all'interno del Pd qualcuno si darà da fare per disinnescare la miccia. Se anche servissero solo a questo scopo, le larghe intese - fino ad ora in surplace - taglierebbero un traguardo storico.

 

Mauro Calise (Il Mattino)

 

 


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