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12/05/24 ore

Altiero Spinelli: per ricordare senza retorica



Il 31 agosto ricorreva l’anniversario della nascita di Altiero Spinelli, estensore con Ernesto Rossi e Eugenio Colorni del Manifesto di Ventotene con il quale aprì la sua battaglia per il federalismo europeo.

 

In vista delle prossime elezioni per il Parlamento europeo (9 giugno 2024) il PD di Elly Schlein si è richiamato ad esso, senza tuttavia dar prova di effettuare un’analisi approfondita del progetto di Spinelli e di quanto distante da esso sia oggi l’UE, zavorrata dalla deriva tecnocratica e priva di una politica all’altezza delle sfide internazionali del nostro tempo. 

 

Il primo a mostrarsi sgomento di fronte alla direzione presa dalla Comunità europea, avvinta tuttora dai lacci degli interessi nazionalistici a cominciare proprio da Francia e Germania che pretendono di costituirne il direttorio, fu proprio Spinelli nella fase conclusiva della sua vita. L’Unione, centralista e inerte nello scenario internazionale, ha dimostrato finora di essere sideralmente lontana dal poter esercitare quel ruolo che all’Europa aveva immaginato di attribuirle il Manifesto di Ventotene nel 1941, mentre si concludeva la tragedia che l’aveva annichilita.

 

 In ricordo di Altiero Spinelli, riproponiamo di seguito la conversazione tra il direttore Giuseppe Rippa e il leader radicale Marco Pannella uscita sul n. 110 (speciale maggio 2014) di «Quaderni Radicali»

 

*****

 

Rippa: Parliamo di te e di Altiero Spinelli. Del vostro rapporto, ma principalmente dell’ultimo Spinelli, quello deluso della scelta comunista, amareggiato poiché vede allontanarsi la prospettiva che lo aveva spinto alla sua lotta per il federalismo europeo, alle speranze riassunte nel manifesto di Ventotene e alla battaglia politico-culturale che descriveva. Tu stesso hai più volte richiamato il valore simbolico e lungimirante di due prigionieri politici, Spinelli e Ernesto Rossi, confinati in un’isola in pieno regime fascista, che riescono a intravedere una prospettiva di luce e di progetto nel cono d’ombra di una guerra devastante... Qual è la tua testimonianza per quel rapporto antico e maturato nella comune esperienza nel Parlamento europeo?

 

Pannella: Hai accennato al momento di sfiducia che nasce in Spinelli nel progetto costitutivo degli Stati Uniti d’Europa, alla luce dell’esperienza che stava maturando in una istituzione che diveniva sempre più burocratica e priva di slanci ideali e politici. Devo confessare che era mia intenzione aiutarlo, essergli vicino, quasi per interesse personale perché superasse questo pessimismo.

 

In realtà negli ultimi due o tre anni, in modo patente, avvertivo da parte sua una richiesta (e questo in particolare in quei mesi in cui sentiva che la sua salute era molto compromessa) di vicinanza.

 

Vi sono alcuni episodi, forse sottovalutati, che lo confermano. Ad esempio sulla vicenda Maastricht (dove il 7 aprile 1992 fu firmato dai dodici paesi allora membri della Comunità europea, divenuta poi Unione, il Trattato che fissava le regole politiche e i parametri economici che erano necessari per l’ingresso degli Stati aderenti alla Unione stessa ndr).

 

Eravamo in Parlamento europeo su una posizione tattica diversa, pur se ispirati dalla medesima motivazione politico-culturale. Altiero era sostanzialmente convinto della crisi di Maastricht e del dopo Maastricht, ma non era intenzionato ad esprimere esplicitamente la sua posizione contraria nei confronti di una involuzione in corso che avvertiva nelle forze del Parlamento, anche in quelle a noi vicine. Non voleva, insomma, rivelare in atti formali un pessimismo che già avvertiva profondo. 

 

Fu lì che maturò la scelta tattica che portò tutti quelli – noi – che erano su una posizione federalista, ma convinti dal processo involutivo che andava maturando sul Trattato, di restare fuori dall’aula al momento del voto mentre uno solo di noi era presente ma si asteneva. Fu un modo per confermare un percorso comune (era la prima volta in cui non avevamo votato assieme), ma contemporaneamente per lasciare, con questa mia scelta tattica così come l’avevo escogitata, quel segno di dubbio e di perplessità che era condiviso anche da lui.

 

Su Altiero si è sempre focalizzata l’attenzione sul tema del federalismo. Ma vi erano tutti gli altri temi, penso all’antiproibizionismo per fare un esempio, o anche al giudizio sulla sostanziale inadempienza dello stesso Parlamento a rispettare le sue stesse scelte (proprio il progetto Spinelli sugli Stati Uniti d’Europa, con il vero e proprio governo europeo espresso dalla commissione, con l’elezione diretta del presidente), che con comportamenti – come dicevo – non abbastanza ricordati, vedevano gruppi di conservatori britannici e di socialdemocratici tedeschi e inglesi e di altri Paesi decisamente vicini alle nostre posizioni, a quelle di Altiero.

 

Quella vittoria tattica non assume dimensione strategica perché viene a mancare la componente di matrice democratico cristiana, che pure veniva da personalità come Adenauer, De Gasperi, Schumann assolutamente convinta della traiettoria federalista e, nel gioco delle contraddizioni, la posizione di una modesta personalità tedesca come Hollenauer che si manifestava con caratteri negativi verso il federalismo.

 

E così dopo Maastricht abbiamo nel 1997 il trattato di Amsterdam (entrato in vigore nel 1999), quello che doveva rafforzare l’unione politica dell’Europa in particolare in materia di libertà, giustizia, sicurezza, comune politica estera e che non interviene sul sistema istituzionale della Unione.

 

Qui viene fuori lo scoramento di Spinelli, il suo pessimismo. Sarebbe necessario un approfondimento su quella delicata fase della vicenda politica europea. Ma paradossalmente proprio tutti coloro che si definiscono di anagrafe spinelliana non vogliono fare una disamina più profonda di quella stagione.

 

Altiero si manifestava molto partecipe delle iniziative politiche radicali, penso alla battaglia contro lo sterminio per fame nel mondo, quella già ricordata sull’antiproibizionismo, l’obiezione di coscienza  …

 

R: … Qualcuno temeva e teme una compromissione con i Radicali ...

 

P: Altiero era molto coinvolto. Ricordo non solo la sua curiosità, ma partecipazione politica. La battaglia di Dupuis sull’obiezione di coscienza lo spinse a voler incontrare con me Olivier nell’ospedale militare e ad essere sinceramente coinvolto su queste iniziative…

 

C’è chi vuole rappresentare Spinelli come se fosse concentrato e avesse idee solo sull’Europa, ma come parlamentare europeo ha dovuto confrontarsi con molti altri temi. Ebbene la sintonia con noi del Partito Radicale è stata totale su quasi tutti i punti. E mano a mano che in lui cresceva il pessimismo per la prospettiva federalista europea, che avvertiva allontanarsi dalla sua visione e progettualità per il modo in cui si stava formando, si è manifestata la sua partecipazione, il suo riflesso tutto politico, con il pudore che era nella sua natura, divenuto poi anche privato e personale nei miei e nei nostri confronti, verso la nostra azione.

 

…Ricordo come, un anno prima della sua morte, in un congresso radicale mi pare a Firenze, confermando la sua lettura pessimistica sull’evoluzione federalista dell’Europa, confermasse questa sua sempre più profonda partecipazione alle nostre iniziative come le uniche in grado di dare vigore ad una speranza. D’altronde, l’essere venuto a quel congresso, l’aver preso la parola, l’aver sottolineato che l’assenza di un Movimento Federalista Europeo rendeva urgente il nostro impegno a colmare quel vuoto... Era una sollecitazione che mi manifestava anche a livello privato... Mi devi assicurare – diceva – che, anche se non ci sarò più, il tuo impegno nella battaglia federalista resti permanente e vicino alle mie progettualità...

 

R: Sebbene a qualcuno possa disturbare, questo è confermato anche nei documenti pubblici: si tratta di una investitura non certo formale...

 

Devo confessarti che, di fronte a questo, io avevo un riflesso che oggi mi è più chiaro. Mi dicevo, lui sta male, il suo pessimismo, il vedere per lui allontanarsi la prospettiva di un vero federalismo europeo, mi spingeva ad una reazione immediata … Non volevo sentir parlare di eredità, ma di supplenza si. Tu devi guarire gli dicevo...

 

Quando la situazione diviene più drammatica per lui ed è in condizioni gravi in una clinica romana lo vado a trovare… Entro vedo i suoi occhi che scrutano chi entra, intorno ci sono non solo la sua famiglia ma i collaboratori e alcuni esponenti del Movimento Federalista Europeo... Facendo un po’ di forza sul mio stato d’animo, ma mentre mi avvicino gli dico, affinché sentano anche gli altri presenti … te l’ho già detto devi guarire. L’eredità non esiste, c’è la supplenza e io la esercito fino al tuo ritorno…

 

E poi se mai accettassi l’eredità puoi immaginare cosa succede con tutti questi che sono qui ora intorno a te... È necessario che tu resisti, gli ho ripetuto mentre mi guardava; e nonostante la gravità del male dai suoi occhi – lo dico con umiltà e sincerità – si vedeva l’intensità del suo sguardo e della nostra intesa e della analisi comune che facevamo di quel momento e di quella fase della storia politica dell’Europa...

 

Dunque penso di poter dire che alla tua domanda su quali erano i miei rapporti con Altiero in quel periodo penso di aver risposto su tutti gli aspetti politici e umani.

Ma se per curiosità si va a verificare cosa è accaduto dopo la sua morte, ebbene la mia esclusione è stata sistematica. Non solo dal “Club del coccodrillo” (l’intergruppo fondato da Spinelli nel 1980 e formato da vari appartenenti a gruppi diversi del Parlamento europeo per promuovere la riforma delle istituzioni europee) e anche in altre occasioni si è voluto cercare di far apparire come io non c’entravo niente con Altiero.

 

Questo chiarisce anche la serietà, non dico l’onestà, di coloro che continuano ad esser gli amministratori ufficiali del “timbro” Spinelli...

 

Resto comunque convinto che Altiero Spinelli e il Manifesto di Ventotene costituiscono quella che si può dire la goccia che fa traboccare il vaso. La vicenda cinese, lo scenario asiatico ne sono un antefatto che potrebbero non essere un’utopia. La posizione del Dalai Lama che, nel totale silenzio dell’informazione, afferma, nella drammatica e complicata vicenda del Tibet, che ci si deve muovere all’interno dell’Unità nazionale con la Cina ha una forza rivelatoria nella prospettiva di trovare soluzioni nonviolente ai conflitti tecnici e indica al mondo una prospettiva di autentica spinta di trasformazione dei conflitti.

 

Mi piacerebbe farlo capire ai miei amici catalani, accaniti nella loro battaglia per l’indipendenza da Madrid, quando la vera frontiera è un federalismo, in questo caso europeo, che superi delle posizioni ai limiti del nullismo impotente. Si confonde una grande battaglia federalista con anacronismi particolaristici. Nel Manifesto di Ventotene c’è scritto tutto, eppure tutti quelli che scrivono, che parlano di Spinelli sembrano non tener in conto la profondità dell’analisi di quel documento.

 

È inutile affermare che quando nel 1941 il Manifesto fu scritto, la battaglia si definiva nella lotta agli Stati fascisti, nazisti, autoritari, mentre oggi il contenzioso è tra Stati comunque con impostazioni democratiche. Si tratta di una posizione speciosa. E qui inserisco il nostro linguaggio, quello che si esprime nell’altra componente nostra, quella di Ignazio Silone.

 

Coloro che dopo la scomparsa di Altiero si autodefinirono federalisti europei, diciamo del gruppo Spinelli, che dichiaravano di volere un rilancio dell’integrazione europea – penso a Daniel Cohn-Bendhit, allo stesso Guy Verhofstadt, liberaldemocratico belga che in questo 2014 è candidato dall’Alde a presidente della Commissione europea nelle elezioni del 2014 per il rinnovo dell’Europarlamento – si muovono nella scia di un modello che con chiarezza in un’intervista a «Die Welt» Mario Monti sintetizzò: “Stati Uniti d’Europa? Non sono possibili... nessuno li vorrà”.

 

Finalmente, dicono i due cosiddetti leader del gruppo, finalmente da parte del consiglio, il luogo considerato l’amplificatore delle reazioni nazionali, abbiamo avuto un discorso spinelliano, federalista. Una cosa da non credere...

 

Eppure è una incredibile verità, tant’è che il “nuovo astro” della socialdemocrazia europea, Martin Schultz, già precario coordinatore del gruppo del PSE nella sottocommissione per i diritti dell’uomo e poi della commissione per le libertà civili, prima di diventare presidente del gruppo socialista al Parlamento europeo e ora candidato presidente socialdemocratico della Commissione dopo il voto del maggio 2014, ha fatto propria questa contrarietà agli Stati Uniti d’Europa... Bene noi invece continuiamo a dire, su una prospettiva diametralmente opposta, Stati Uniti della Cina o delle Cine... che è un inizio di lotta politica, di una battaglia ideale, forte e dialettica…

 

R: Nella battaglia ideale e politica degli Stati Uniti d’Europa c’è anche Ernesto Rossi...

 

P: Ernesto Rossi dà vita nel 1941 con Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni al Manifesto di Ventotene; nel 1944-45 Ernesto indirizza le sue attenzioni più verso temi salveminiani che sulla più specifica frontiere federalista. Così nel 1946-47 egli, pure così presente fino alla sua morte nelle battaglie radicali, inizia un lavoro che ha una prospettiva più interna che, dal 1949 con le esperienze de «Il Mondo», e dal 1953-54 con il processo formativo del Partito Radicale, smette di avere una angolazione di politica estera e affronta più problematiche della realtà nazionale.

 

Ernesto Rossi aveva sulla realtà economica, sindacale del nostro e degli altri Paesi un’analisi lucida e acuta che ha anticipato molte delle previsioni sulla parabola dell’Italia e sull’intreccio corporativo e consociativo che ne hanno segnato la perversa dinamica. Ecco che dunque il tema del federalismo, al quale pure restava sensibilissimo, diventa meno centrale nel suo lavoro di elaborazione, di ricerca e di analisi. Ma le sue riflessioni sulle componenti sociali, sul capitalismo inquinato, sui parassitismi monopolistici, sui caratteri strutturali della società italiana e non solo ma anche dell’Europa tutta si sono sempre nutriti di una prospettiva federalista.

 

L’analisi sui sindacati è universale e anticipa la crisi che oggi le organizzazioni vivono. La sua presenza nelle lotte radicali è stata viva fino alla fine. Morì infatti 36 ore prima di una manifestazione del Partito Radicale sulla religiosità anticlericale e di quella religione della libertà di tutti i credenti in cui aveva sempre creduto...

 

Ernesto è stato nella mia vita sempre presente, condividendo al cento per cento tutte le analisi sul partito, sulla partitocrazia, sull’economia di un capitalismo delle relazioni che ha finito per aprire la strada che oggi si manifesta con il debito pubblico disastroso che ci troviamo addosso.

 

Ma il lavoro sul fronte federalista, europeista è sempre proseguito con Altiero. Devo dire che la mia esperienza è stata privilegiata. Da una parte Ernesto, il partito, la sua lezione metodologica e di analisi interna; dall’altra, Altiero, che grazie anche all’impegno di Ursula Spinelli, grande militante del federalismo europeo, è stato sempre presente nella nostra azione fino agli anni intensi del comune impegno nel Parlamento europeo, così come ho già raccontato...

 

Purtroppo sono stati annullati tutti i nuclei di pensiero che provengono da una cultura liberale, laica, libertaria e perché no liberista... Molti dimenticano che Salvemini, Einaudi erano liberisti in economia. Lasciamo stare l’ignoranza di numerosi pseudo leader di una sinistra sostanzialmente illiberale, va considerato che il termine liberista suscita reazioni improprie. Innanzitutto solo da noi di fatto esiste, nel mondo si parla di mercato o meglio di libero mercato. 

 

Se si esclude poi la polemica tra Croce e Einaudi che molto spesso viene citata, ma che non ha nulla a che vedere con la cultura anti-liberale di una certa sinistra. Quella polemica era incentrata su una idea di libertà che per Croce era separabile da una economia liberista e per Einaudi non era possibile, nel senso che non c’era liberalismo senza liberismo.

 

Anche in questo vi è traccia di una cultura liberale della sinistra che purtroppo non c’è. Non voglio addentrarmi in una questione che a mio avviso è chiarissima e perciò senza preoccupazione, come appunto Salvemini e Einaudi, io mi definisco anche liberista. Il mercato è la somma, bella o brutta che sia, di contrattazioni tra individui che volontariamente esercitano transazioni. Altro accidente sono le dinamiche che vengono definite “turbo-capitalistiche”. Per un liberista vi è il mercato e le regole certe da rispettare.

 

Niente a che vedere con gli equivoci della pseudo cultura dei neocorporativismi di destra e di sinistra che pensano ad un mercato con meccanismi precostituiti... Vai a spiegare queste cose a Vendola! Qui abbiamo una sinistra che ha accettato solo le logiche corporative e non certo le logiche del libero mercato con regole certe, puntando tutto sullo scambio di favori e una destra che lo dice la parola è naturalmente corporativa...

 

R: Spinelli dunque viene da te definito leader del federalismo europeo, ma tu insisti anche su uno Spinelli che condivide convintamente le altre battaglie: l’obiezione di coscienza, la legalizzazione per esempio delle droghe leggere

 

P: Gli “spinelliani professionisti” non vogliono parlare o ricordare gli altri comportamenti ufficiali di Spinelli su questi fronti, che lui riteneva convergenti e determinanti proprio in una prospettiva di libertà e di federalismo...

 

A volte siamo giudicati velleitari e utopisti... bene, io insisto che, per esempio, il lavoro portato avanti, va nella direzione di una prospettiva possibile contro la vera vacuità della “democrazia reale” che come il socialismo reale produce solo distruzione e morte di speranze e non è in grado di fornire risposte democratiche alle questioni del nostro tempo...

 

La mia insistenza, ad esempio, sulla questione degli Stati Uniti di Cina è un abbozzo su cui stiamo lavorando e affonda la propria azione in atti concreti. Ci furono le tradizionali mosche cocchiere che attaccarono la Bonino sulle questioni commerciali o meramente legate a interessi economici. Ma nessuno rilevò come in quei passaggi si insediarono meccanismi di rara efficacia sulle questioni relative agli ordinamenti.

 

Quando Emma, con i dirigenti cinesi e pechinesi, parlò non solo di relazioni economiche ma dei temi dell’antiproibizionismo, della battaglia contro la pena di morte, si registrò l’avvio di un processo, che è documentabile e che portò il trasferimento delle competenze dai giudici diciamo di base, che potevano decidere sulle esecuzioni, alla Suprema Corte a cui spetterà la decisione. È lì che incomincia una rivoluzione ordinamentale che porta alla digitalizzazione dei lavori della Corte, alla pubblicizzazione dei procedimenti con conseguenze di crescita di consapevolezza, e che porta i cittadini a prendere coscienza dei fatti, in questo caso orribili, della pena capitale...

 

Un processo riformatore che si definisce nei passaggi concreti e strutturali che fanno crescere conoscenza e coscienza delle cose.

 

R: Come ti appare oggi l’Europa, quali sono i caratteri di una Unione, di una istituzione, che tu hai vissuto dall’interno per un trentennio e che nelle prossime elezioni risulterà comunque priva di riferimenti solidi di una cultura politica federalista, liberale, spinelliana? I Radicali non ci saranno, non si presentano e le ragioni della assenza di praticabilità democratica del nostro Paese sono stati denunciati in tutte le sedi...

 

P: La mia analisi è questa: la forza di Ventotene è oggi molto più comune di quanto non fosse quando noi eravamo presenti nel Parlamento europeo. Quel documento era noto alla classe dirigente, conosciuto solo da poche élite.

 

Oggi tutti vedono come la mancata costruzione della nazione europea testimoni la debolezza dei Paesi europei. Lo si vede nei rapporti con la Russia, tra marginalità e sbeffeggiamenti che Putin compie senza ostacoli. Si tratta di classi dirigenti deboli, che non hanno presente la “profezia” liberaldemocratica nel mondo, la sua attualità come risposta ai problemi che stiamo vivendo. 

 

L’illusione statalista ha rivelato tutta la sua fragilità e impotenza.

 

Ecco perché torna il riferimento alla Cina, alle posizioni del Dalai Lama, di Kadesh: le loro scelte federaliste e non indipendentiste, servono per descrivere che anche le illusioni, emotivamente forti, di lotta contro lo straniero, col sangue e con i morti, si rivelano inefficaci.

 

Potrei citare la mia convinzione, più volte ripetuta, che nello scenario mediorientale, la questione israelo-palestinese non può trovare risposte nazionalistiche, con la teoria due popoli, due Stati (peraltro impraticabile materialmente e territorialmente): è illusoria. Ma se si diffondono le tentazioni nazionalistiche, a cui contribuiscono in tanti, ad esempio lo stesso sionismo che smarrendo la sua vocazione internazionalistica, diviene veicolo di nazionalismo, allora si assiste a involuzioni e sofferenze che non risolvono i problemi.

 

Un unico Stato, con due popoli e due tradizioni, federalista e democratico... e oggi riascoltiamo le voci di gruppi di giovani che muovono in questa direzione in quella terra. Ce lo racconta Molinari su «La Stampa», inaugurando così il suo ruolo di corrispondente dopo la lunga presenza negli Usa.

 

Ritornando all’Europa, ecco lo scenario che fotografa una Ucraina dove almeno una consistente parte del popolo cerca l’Europa, anche al rischio della morte, e scoprono che l’Europa, il sogno europeo non c’è più. Eppure, lo ribadisco, il potenziale c’è, storicamente c’è. L’illusione statalista permane, ma si rivela sempre meno risolutiva e più pericolosa. 

 

Questo incomincia ad esser un sentimento diffuso. Il convegno promosso da Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito alla sala Schuman della Commissione europea lo scorso febbraio su “Stato di diritto Vs Ragion di Stato” è servito proprio a ribadire come bisogna lottare per i Diritti Umani e riconquistare lo Stato di diritto, contro il degrado della democrazia in “democrazia reale” con il ritorno della Ragion di Stato, di quella scuola realista, che nutrendosi di pregiudizio antropologico ci ha trascinato solo in grandi tragedie. 

 

I ritmi del seminare sono forse lunghi, ma sono fondamentali per preparare il cambiamento. Quando si crea, si realizza qualcosa che fino al giorno prima non era possibile. 

 

 

- PD e Ventotene: Spinelli non è una dimensione ricreativa. Conversazione Geppi Rippa/Luigi Rintallo

(Agenzia Radicale Video)

 

 


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