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13/05/24 ore

A proposito di Fassino e del finanziamento della politica


  • Luigi O. Rintallo

A conferma di quanto asserito l’8 marzo scorso nel salotto tv di Lilli Gruber da Marco Travaglio, secondo il quale la leader del PD “… è quella che assomiglia di più alle idee del Movimento 5 Stelle”, Elly Schlein si è prontamente dissociata dalle dichiarazioni alla Camera di Piero Fassino, quando questi ha detto parole di verità circa i compensi dei parlamentari ben lontani da essere paragonabili agli stipendi d’oro.

 

Ricorrendo alla stessa formula usata pure dal presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, a proposito del suo portavoce Marcello De Angelis, ex estremista di destra risucchiato nel gorgo di una rissa mediatica a proposito della “verità giudiziaria” sulla strage del 2 agosto 1980, Elly Schlein ha sentenziato: “Fassino ha parlato a titolo personale”. 

 

Sia l’uno che l’altra hanno ritenuto così di uscire da una scomoda condizione, senza entrare nel merito dei problemi che la caratterizzavano. La segretaria del PD ha probabilmente pensato, manifestando il suo distacco, di conseguire un triplice risultato: distinguersi dalla passata nomenklatura del partito; proporsi come un politico attento ai problemi veri della gente e – per ultimo, ma non meno importante – cavalcare la polemica anti-casta, in concorrenza con gli altri esponenti della politica, sia a destra che a sinistra dell’arco parlamentare.

 

A dirla secca: ha fatto esattamente il contrario di quello che ci si sarebbe aspettato da un autentico propugnatore del cambiamento, all’insegna di un pragmatismo riformatore capace di mettere in discussione gli assetti consolidati del continuismo di potere.

 

Per quest’ultimo, non c’è niente di meglio che coltivare ed alimentare la micidiale miscela di anti-politica e risentimento ribelle, assolutamente sterili sul piano delle azioni capaci di mutare le situazioni e garanzia di mano libera per apparati ed oligarchie fuori da ogni controllo democratico.

 

Collocandosi sulla scia lunga della demagogia, per di più aggravata dalle deturpazioni dello Stato di diritto assorbite con colpevole indifferenza, la dirigenza del PD si rivela omologata al disegno profondamente restaurativo portato avanti negli ultimi decenni e assecondato nei fatti da tutti gli schieramenti politici, accomunati dal non aver mai affrontato la “questione liberale” sostanzialmente estromessa dal terreno di confronto politico inquinato invece dalle scorie nocive dei loro paradigmi ideologici.

 

Tale disegno vieta che si possa distinguere, ragionare, confrontare e richiede  in primo luogo massicce dosi di manipolazione informativa, oltre che distrazioni continue al fine di occultare privilegi e interessi materiali.

 

Timidamente lo stesso Piero Fassino ha indicato, in una intervista a «La Stampa», la filiera di atti con cui l’anti-politica coltivata in vitro da un’informazione nient’affatto indipendente, ma al contrario fin troppo servizievole alle mire dei suoi proprietari, ha condotto la sua offensiva verso gli interessi generali del Paese. 

 

“Abbiamo ridotto il numero dei parlamentari – ha dichiarato l’ex segretario dei DS – adottato una legge che non consente ai cittadini di scegliersi i propri rappresentanti… tagliato i vitalizi, anche con effetto retroattivo. Tutto questo non ci ha consegnato una politica più forte”.

 

Va, tuttavia, sottolineato come tutto questo sia avvenuto proprio a causa del comportamento assunto da chi fa politica, dal momento che ha assecondato il fenomeno anziché contrastarlo con vigore. Colpevolmente la segreteria del PD continua a farlo, rincorrendo quei 5Stelle portatori di contraddizioni irrisolte.

 

L’ultima e più paradossale sta nel richiedere il ritorno a quel tipo di finanziamento pubblico dei partiti in mano alle oligarchie interne dei partiti stessi, più volte abolito dai cittadini coi referendum, di certo ben lontano dal rappresentare una soluzione capace di rafforzare la nostra democrazia.

 

La “desertificazione” della politica, di cui si scrive sovente nelle pagine di Quaderni Radicali e Agenzia Radicale, è determinata proprio dal fatto che gli spazi e le occasioni del libero agire politico vanno progressivamente riducendosi, mentre invece andrebbero moltiplicati. Considerando poi che i parlamentari si sono scelti lo stesso stipendio dei magistrati.

 

Ciò che merita di avere un sostegno, infatti, non dovrebbero essere le “strutture”, ma l’attività politica; è solo in questi termini che il finanziamento alla politica può dirsi funzionale allo sviluppo democratico.

 

Se lo Stato ha da svolgere un ruolo nel bonificare questo “deserto”, va individuato soltanto nella concessione di servizi anziché di fondi. Servizi che andrebbero concessi così come avviene per i mutui: sulla base di una garanzia che scaturisce dal progetto che si intende realizzare.

 

Nulla vieterebbe poi di verificare, anno per anno, la sua congruità e il favore che ha registrato presso i cittadini e, nel caso, di annullare il “contratto”. Abbandonare quel finanziamento pubblico dei partiti era ed è, dunque, la premessa per determinare un processo di emancipazione della società, per dare un’occasione di libertà in più al nostro Paese.

 

 


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