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19/04/24 ore

Le ricette ammuffite del redivivo Prodi


  • Luigi O. Rintallo

Almeno da quando raccontò che, entrando in Europa, gli italiani avrebbero lavorato di meno e guadagnato di più, Romano Prodi ci ha abituato a dire cose che fanno a cazzotti con la realtà. Di recente, è tornato nell’agone politico per dichiarare come solo “una legge elettorale che ci obbliga ad accorpamenti” può dare soluzione ai problemi dell’Italia. Altrimenti non sarà garantita la governabilità, perché “in un Paese frammentato, la legge elettorale non è fatta per fotografare un Paese, ma per dare un governo stabile”.

 

Dagli osservatori politici, l’intervento di Romano Prodi è stato interpretato come una presa di distanza netta dal segretario del PD e una opzione in favore dell’alleanza con i fuoriusciti del MDP-Articolo 1 di Bersani nonché con il Campo progressista dell’ex sindaco di Milano, Pisapia. In sostanza si ripropone l’Ulivo o l’Unione, che in verità risponde più all’esigenza di aumentare le possibilità di prevalere nel prossimo confronto elettorale che non a garantire la stabilità governativa.

 

Al contrario di quanto affermato dall’ex presidente dell’IRI, infatti, il sistema di voto che premia le coalizioni non ha affatto assicurato governi durevoli, stabili e – tanto meno – efficienti sul piano delle soluzioni ai problemi. Dal 1994 ad oggi le leggi elettorali premiavano appunto le alleanze fra partiti che si presentavano insieme, sulla base di un programma comune. Sappiamo com’è andata.

 

Il primo governo Berlusconi, fondato sull’alleanza fra Polo delle libertà e Polo del Buon governo, durò sei mesi, seguito da un anno e mezzo di governo tecnico sostenuto da una maggioranza opposta a quella uscita vincente alle elezioni; ugualmente, il primo governo Prodi frutto della vittoria dell’Ulivo al voto del 1996 durò meno di due anni, per essere sostituito dai due ministeri presieduti da D’Alema, costretto alle dimissioni nel 2000 e sostituito dal governo Amato che chiuse la legislatura.

 

Non diversamente accadde al centrodestra, dopo la terza elezione tenutasi in base al Mattarellum: si ebbero tra il 2001 e il 2005 due governi presieduti da Berlusconi, intervallati da stop and go continui e dalle dimissioni al vertice del ministero più importante, quello dell’Economia, con evidenti ricadute negative sul piano dell’efficacia delle politiche adottate.

 

Né le cose sono andate diversamente una volta che i governi sono stati il risultato della legge elettorale con premio di maggioranza alla coalizione con più consensi: il secondo governo Prodi, sostenuto da tutti i partiti dell’Unione uscita vittoriosa nel 2006, terminò senza giungere nemmeno a metà della legislatura nel 2008 e il quarto governo Berlusconi si trascinò per soli tre anni, dopo che dal Quirinale si persuase il suo premier a dimettersi per soppiantarlo con Monti.

 

Appare, dunque, del tutto fuorviante e strumentale l’indicazione prodiana in favore di una legge elettorale che premi le coalizioni tra i partiti, tanto più quando pretende di essere garanzia della stabilità e della governabilità. Ancora una volta la realtà è ben distante da quella che descrive il redivivo Romano Prodi.

 

 


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