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15/05/24 ore

I timori di Mario Draghi


  • Silvio Pergameno

Le misure di politica monetaria espansiva che Mario Draghi viene via via operando, traggono origine dalla constatazione del fatto che i segni di ripresa economica in Europa sono molto fragili e periclitanti, al punto che la stessa locomotiva tedesca sembra inizi a dare segni di stanchezza e si stia addirittura fermando. Il Presidente della Banca Centrale Europea ne ha parlato davanti dal Comitato per gli affari economici e monetari dell’Europarlamento.

 

La cosa non deve stupire, stante il fatto che una larga parte del mercato tedesco è orientato non tanto al mercato interno, ma alle esportazioni, alle quali il paese ha affidato principalmente la sua performance economica, un ambito nel quale i paesi europei hanno avuto una parte importante, che oggi sta venendo meno a causa della crisi che ci ha colpiti. E i paesi europei che comprano poco significa che le esportazioni tedesche si contraggono e la Germania ne risente. Stesso discorso vale per i rapporti con la Russia, che, colpita dalle sanzioni economiche imposte in conseguenza delle vicende ucraine, contrae le importazioni dall’Europa e quindi dalla Germania.

 

Questa situazione impensierisce fortemente Il Presidente della BCE, preoccupato per il peggioramento delle condizioni dell’occupazione che la caratterizza e timoroso per uno scivolamento in recessione dell’intero  nostro continente.

 

Peraltro non sarebbe esatto fermare il discorso a questo punto, perché un altro passaggio essenziale dell’azione di Mario Draghi è rappresentato dall’insistente richiamo - rivolto a i paesi che più stentano ad affrontare con decisione il problema dei loro debiti e versano in sistemi produttivi assai poco competitivi - per l’attuazione delle riforme indispensabili per contrarre l’esposizione debitoria e per adeguare la regolamentazione dei rapporti di lavoro alle esigenze di un mercato globalizzato.

 

Non è infatti detto che una politica monetaria espansiva debba essere necessariamente in contrasto con l’esigenza di tenere i conti in regola e con la prudenza necessaria in materia di espansione dei debiti. Proprio la persistente crisi in cui versiamo ha trovato il suo fattore scatenante nella bolla immobiliare che ha colpito gli Stati Uniti, campioni di una politica espansiva protratta per lungo tempo, nel corso del quale si sono accumulati crediti su crediti (i famosi derivati), fino a che, tolto un mattone, l’intero edificio ha subito un crollo,  disastroso per tutta l’economia occidentale..

 

Gli effetti sono stati più pesanti per l’Europa, proprio per le rigidità che caratterizzano gli stati sociali, il cui funzionamento è assicurato dalla spesa pubblica e quindi dall’imposizione fiscale indispensabile per garantire i mezzi finanziari alle azioni sociali. L’esigenza dei conti in regola in questi paesi è quindi inderogabile al fine di evitare che tutto il meccanismo economico-finanziario entri in crisi, come è avvenuto nel corso di questi anni.

 

In una condizione di recessione, si contrae la fonte cui attingere per la tassazione, mentre la necessità di ridurre la spesa pubblica colpisce i benefici assicurati dallo stato sociale e sottrae liquidità al sistema produttivo, e per contro l’imposizione fiscale che colpisce il lavoro deve essere ridotta per favorire la competitività del sistema produttivo.

 

Se poi un paese presenta un debito pubblico elevato e in continua espansione, le spese per interessi  sono pesanti, non soltanto, ma, al fine di impedire che la crescita del debito possa aggravarsi fino a determinare una condizione di insolvenza, si profila anche la necessità di ridurre l’esposizione debitoria e quindi di rinvenire altri mezzi finanziari…Un gatto che si morde la coda!

 

Altra preoccupazione di Mario Draghi  è poi quella di potenziare la governance europea. Anche di questo ha parlato al Comitato per gli affari economici e monetari dell’Europarlamento. E in effetti sinora gli interventi della BCE sono stati essenziali per affrontare il caos finanziario che si era progressivamente aggravato dal 2008 in poi, per ridurre il costo del denaro, per ridurre il prezzo dell’euro in dollari e quindi per dare una spintarella alle esportazioni dei paesi che hanno adottato la moneta unica.

 

Un terreno fortemente scabroso, perché diventa luogo di scontro con tutti le grettezze e le meschinità dei corporativismi abbarbicati alle sovranità nazionali e con sistemi statuali congegnati come meccanismi a orologeria, nei quali ogni interferenza scatena reazioni a catena. E il fatto è che nella zona euro i due paesi più grandi dopo la Germania si presentano proprio come i fanalini di coda sulla strada delle innovazioni indispensabili per affrontare l’economia di un mondo globalizzato, che postulano la necessità di ripensare passaggi essenziali del welfare.

 

 


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