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12/12/24 ore

Una racchetta da tennis racconta, di Ermanno Tedeschi


  • Elena Lattes

Come per Proust, gli oggetti che rappresentano ricordi importanti possono diventare il punto di partenza per la narrazione di storie familiari. Così è stato per una bambola, nel caso di Ermanno Tedeschi, esperto d’arte e autore de “I racconti di Matilde”, già recensito per questa testata, in cui rievoca le vicende dei congiunti da parte materna.

 

In occasione della presentazione di questo libro, avvenuta ormai quattro anni fa a Ferrara, l’avvocato Marcello Sacerdoti, figlio di Simone che fu rabbino capo nella città estense, regalò al Tedeschi una racchetta da tennis che a sua volta aveva ricevuto in dono per il suo Bar Mitzvà (la maggiorità religiosa che i ragazzi raggiungono a 13 anni) dal nonno dell’autore, l’omonimo Ermanno. 

 

Da questo incontro nacque un altro libro, “Una racchetta da tennis racconta”, pubblicato da Silvio Zamorani Editore, che narra le vicissitudini della famiglia paterna, dei Tedeschi, appunto, e, in parte, della comunità ebraica ferrarese. 

 

Una variegato collage di memorie, considerazioni e pensieri nel quale la Storia nazionale e locale si intreccia con le tante storie personali e nel quale il passato più lontano confluisce in quello più recente. 

 

Uno dei primi interventi è la testimonianza dell’87enne Marcello Tedeschi - figlio e padre di Ermanno, mancato poco prima della pubblicazione del volume – che affronta il periodo della seconda guerra mondiale, raccontando di come più volte lui e la sua famiglia riuscirono miracolosamente a scampare dalle grinfie nazifasciste, nonché della triste sorte del fratello di suo padre, Arrigo, il quale, invece, fu preso a Roma e ucciso ad Auschwitz. 

 

Durante quell’ultimo viaggio, in transito da Ferrara, lo zio riuscì a gettare dal carro bestiame un bigliettino che un ferroviere raccolse e fece recapitare ad Ermanno, nel quale avvisava il fratello di fuggire per mettersi in salvo.

 

Seguono le interviste che Ermanno jr. fa ad alcune personalità di spicco, fra le quali forse vale la pena citare quelle a: Marcello Sacerdoti, consigliere della Comunità ebraica, il quale ricorda non solo cosa il dono e la racchetta stessa hanno rappresentato per lui, ma anche le relazioni fra le due famiglie, soffermandosi in particolare sulla figura di suo padre; Simonetta Della Seta, già presidente del Meis, il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah e che è stata la fautrice dell’incontro fra Marcello ed Ermanno; Paola Bassani, figlia del famoso scrittore Giorgio; Gianni Venturi, studioso di letteratura italiana e profondo conoscitore dell’autore de “Il Giardino dei Finzi Contini” che risponde alle domande sul suo rapporto con quest’ultimo. 

 

Amedeo Spagnoletto, attuale presidente del MEIS e il rabbino Luciano Caro, invece, riflettono sulla sulla metafora della racchetta, sulla presenza ebraica a Ferrara e sul futuro di questa comunità ormai ridotta a meno di cento componenti. La sua esistenza, viene ricordato nell’introduzione, è riscontrata fin dal tredicesimo secolo, sebbene alcuni documenti non ufficiali la facciano risalire all’undicesimo. 

 

Nel 1634  il governo pontificio fece istituire il ghetto, ma nonostante le innumerevoli limitazioni che rendevano la vita degli abitanti molto difficile, le attività proliferavano “permettendo la nascita di diverse confraternite, di carattere sia religioso, sia giuridico e sociale”.

 

 Nel diciannovesimo secolo, nel periodo del Risorgimento, gli ebrei tornarono gradualmente ad essere cittadini a pieno titolo ed entrarono “in simbiosi” con il resto della popolazione. Fino alle fatidiche Leggi razziali prima e alle persecuzioni e deportazioni poi che ridussero la comunità di oltre un settimo.

 

Umberto Caniato, invece, partendo da una citazione tratta da “Il giardino dei Finzi Contini”, parla della fondazione del Tennis Club Marfisa e del rapporto di Giorgio Bassani e di altri ferraresi con questo sport.

 

Tata Spada, figlia e nipote di chi aiutò i Tedeschi e altri ebrei a sfuggire alle retate naziste, dopo essersi brevemente soffermata sul ruolo di suo zio Renzo, fratello del padre, e dei suoi genitori nelle organizzazioni partigiane e nel salvataggio dei perseguitati, si pone il problema di come tramandare queste memorie alle nuove generazioni.

 

Accanto, dunque, ad eventi drammatici come le deportazioni e le barbare uccisioni di civili innocenti, e ai dilemmi su come trasmettere la conoscenza di ciò che è stato alle generazioni più recenti, ci sono anche storie di continuità, di ripresa e resilienza, intenerite dalla serenità dei profondi rapporti umani di amicizia o familiari - anche lontani - di empatia e di reale partecipazione alla vita degli altri e della collettività. 

 

Storie e testimonianze che spaziano dalle valli piemontesi, alle grandi città di Torino e Milano, fino a confluire tutte al piccolo, ma vivace centro di Ferrara. 

 

 


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