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03/10/24 ore

L’odio per i rom è reale e diffuso non è una semplice ‘fesseria’…



di Gianni Carbotti e Camillo Maffia

 

Non si fermano in queste ore – come per qualunque altra cosa, purtroppo – le indignate polemiche in merito al video, pubblicato sui social, in cui il consigliere leghista di Firenze Alessio Di Giulio aveva immortalato una donna rom vestita con abiti tradizionali, invitando a votare la Lega per non vederla mai più.

 

Viviamo in un clima di campagna elettorale permanente e d'indignazione generalizzata, in cui scatta la polemica 365 giorni l'anno praticamente per qualunque cosa; in questi giorni però si avvicina realmente la scadenza del voto e il politico sinora Carneade ha ricevuto venti minuti buoni di celebrità in un periodo cruciale per il suo partito. 

 

"Una fesseria", secondo il segretario della Lega Matteo Salvini, che ha così bonariamente liquidato tali affermazioni stile anni Trenta, ben consapevole del fatto che indossare una maglietta con la ruspa nei pressi di un campo nomadi porta tanta di quella pubblicità che ti puoi ritrovare da concorrente di telequiz a ministro dell'Interno nel giro di qualche anno.

 

Ciò premesso, d'interessante qui non c'è nulla: un leghista che insulta un rom è precisamente il contrario di una notizia, è un cane che morde un poliziotto e non un poliziotto che morde un cane. Se fosse stata la donna rom a dire: "Votate me così non lo vedrete mai più", indicando il consigliere Di Giulio, allora sì sarebbe valsa la pena parlarne. 

 

Il problema quindi non è la eventuale "fesseria" commessa dal soggetto in questione e neppure le reazioni infuocate che si sono levate in seguito giorni: il punto è che insultare i rom, in Italia, porta consenso, ed è veramente difficile credere alla favola dell'impulsivo che schiaccia con troppa fretta il tasto sul telefonino nell'era della comunicazione di massa, in cui neppure il sindaco del più piccolo paesino della Val Di Noia va a pisciare senza chiedere prima il permesso all'ufficio stampa.

 

No. Il problema è che oggi fare affermazioni anni Trenta in merito ai rom riscuote gli applausi di un popolo che ha gusti anni Trenta. Secondo i dati più recenti, in Italia l'ostilità nei riguardi di questa minoranza riguarda il 90% dei cittadini: con ogni probabilità è molto maggiore quindi di quella che circondava gli ebrei prima della retata del ’43.

 

Se oggi un partito deportasse i rom, la gente che raccoglie firme perché siano sgomberati si opporrebbe? Questo è il solo punto politico. E se è così, indignarsi non basta. Perché, a conti fatti, è stata la politica tutta a creare e ad alimentare questo odio – dalle campagne razziste ai progetti che hanno fatto dell'assistenza un business tale da rendere i campi nomadi un enclave permanente di degrado e disagio – e dev'essere la politica a lavorare per superarlo. 

 

Ma questo ovviamente non è neppure oggetto di dibattito. Oggi, come sempre, l'analisi verte sulla meticolosa misurazione del livello di stronzaggine di questo o di quel politico in cerca di notorietà, e non sul fallimento sistematico delle politiche d'inclusione negli ultimi quarant'anni. 

 

Fallimento quando si è cercato di agevolare rom e sinti con la creazione di aree di sosta per i mestieri itineranti, che sono diventate nel tempo i famigerati campi nomadi; fallimento quando i profughi della stessa etnia arrivati in massa dopo le guerre della Ex Jugoslavia e del Kosovo, anziché trovare una sistemazione, sono stati stipati all'interno di ulteriori campi nomadi; e fallimento quando si è creato un corto circuito assistenziale nel tentativo di aiutare gli abitanti a uscire da una condizione di emarginazione.

 

Scandali come quello di "Mafia Capitale" esemplificano questo fallimento, ma non sono stati mai realmente visti in questi termini. Si è discusso della faccenda in termini meramente giudiziari, senza alcuna riflessione politica.

 

Nessuno pensa al fatto che oggi ci sono dei cittadini che nascono all'interno di un campo nomadi, figli di uomini e di donne che a loro volta sono nati in un campo nomadi: quale speranza hanno di trovare un riscatto sociale queste persone, in un momento che vede in difficoltà imprenditori e operai, commercianti e artigiani, lavoratori del settore pubblico e di quello privato? 

 

Certo, si è parlato del superamento dei campi nomadi. Anzi, era stata varata un'apposita strategia nel 2012 dall'UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), che avrebbe dovuto svolgere da punto di contatto per un'azione collegiale di concerto con associazioni, enti locali e rappresentanti della minoranza. Non fece in tempo a vararla, l'UNAR, che fu ridotto da 13 dipendenti a 4 e l'allora direttore Monnanni fu mandato via: ne ricordiamo le lacrime, dopo l'intenso lavoro che aveva svolto.

 

Da allora interessi di parte e difficoltà strutturali hanno impedito sistematicamente l'elaborazione di progetti volti all'eliminazione di non-luoghi divenuti nel tempo sempre più insalubri, degradati e sovraffollati, nonostante il successo delle buone prassi nei rari casi in cui queste sono state applicate.

 

La verità è che la gente non va per il sottile. La signora che deve vender casa non pensa a tutto questo, ma al fatto che il campo nomadi le deprezza l'appartamento; e quelle persone lì no, non le vuole vedere più, come ha sintetizzato in modo crudele ma tristemente realistico il nostro Di Giulio.

 

Ora si discute se ci sono o meno gli estremi per l'istigazione all'odio razziale, ma questo è ancora una volta un dato giudiziario, non politico: il dato politico è che l'odio razziale, in Italia, è lì che attende solo d'essere istigato, e che farlo porta voti e consensi.

 

Ecco perché è inutile dargli del troglodita e della bestia come hanno fatto alcuni esponenti politici di orientamento opposto. Il consigliere è l'esatto contrario, è una persona consapevole, che sa dove raccogliere applausi nell'elettorato. Ed è questo che dovrebbe farci paura.

 

 


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