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06/12/24 ore

A proposito del genocidio armeno



di Gianfranco Spadaccia

 

Da molto tempo ormai la polemica fra Turchi e Armeni (non solo fra i governanti dei due paesi ma anche fra gli storici e più in generale fra gli intellettuali) si è focalizzata su una sola questione: se sia legittimo l’uso del termine genocidio a proposito della politica messa in atto dallo Stato Turco di cui fu vittima il popolo armeno. Nessuno infatti ormai nega più, tra gli storici e neppure nel governo turco, che  quella politica sia stata caratterizzata dall’espulsione  degli armeni dalle loro terre e dalle loro case, dalla costrizione di tanti di loro all’emigrazione verso l’Europa e le Americhe per sfuggire alla persecuzione e ad una capillare e spietata deportazione che provocò tra i più deboli, i vecchi e i bambini un vero e proprio massacro, mentre la minoranza che non volle abbandonare la propria terra fu costretta alla conversione forzata e alla negazione della propria storia e della propria identità.

 

Papa Francesco, impegnato  a denunciare e richiamare l’attenzione del mondo sulle persecuzioni odierne dei cristiani (e di altre minoranze religiose)  ad opera dello Stato Islamico, del cosiddetto Califfato e dei suoi affiliati e imitatori in Medio Oriente e in altre parti dell’Africa  dove queste minoranze sono insediate e vivono da secoli, ha ricordato nei giorni scorsi il "genocidio armeno" come del primo caso di espulsione e di persecuzione di massa dei cristiani in terre a maggioranza mussulmana.

 

Non ha molto senso discutere della legittimità dell’uso di questa parola come se si trattasse solo di una questione terminologica. Se non è stato genocidio come quello degli ebrei ad opera di Hitler, allora cosa è stato? Una "pulizia etnica" particolarmente spietata e totalizzante, perfettamente riuscita, diversa dal genocidio solo perché non aveva previsto e tanto meno teorizzato la cosiddetta "soluzione finale"? Ed ha senso questa assurda gerarchia solo terminogica degli orrori riservati alle minoranze?

 

Non ha molto senso neppure discutere se si sia trattato di una persecuzione prevalentemente religiosa (il primo caso di genocidio di cristiani in terre mussulmane) o di una persecuzione prevalentemente etnica dovuta all’intolleranza nazionalistica dei giovani turchi dopo la caduta del tollerante impero ottomano, a causa dell’ostilità dimostrata dagli armeni contro l’alleanza nella prima guerra mondiale con gli imperi centrali. E’ pur vero che anche i curdi, al pari degli armeni, sono stati oggetto di discriminazione ed anche di persecuzione etnica. A salvarli dal genocidio non fu però la loro appartenenza alla religione mussulmana ma piuttosto la particolare condizione che fa del Kurdistan il territorio di una nazione non riconosciuta che insiste su quattro stati (Iraq, Siria, Iran e Turchia) e una politica analoga a quella messa in atto contro gli armeni, avrebbe avuto l’effetto di una forte destabilizzazione internazionale.

 

D’altra parte negli armeni identità etnica e identità religiosa sono tra loro strettamente intrecciate sicché è difficilmente contestabile la affermazione del Papa che si sia trattato della prima persecuzione di massa di una popolazione cristiana in un paese mussulmano anche se questo non può essere l’unico paradigma interpretativo di ciò che è accaduto: durante  la lunga vita dell’Impero ottomano la convivenza e l’integrazione del Popolo armeno con la popolazione mussulmana furono infatti sempre pacifici ed è indubbio che un ruolo determinante nello scatenare la persecuzione e l’espulsione ebbe il nascente nazionalismo nella fase finale dell’impero e subito dopo la sua dissoluzione sotto l’impulso e l’egemonia dei giovani  turchi.

 

Il laicismo e l’azione riformatrice di Ataturk, che miravano a sancire la separazione e l’autonomia dello Stato dalla stessa religione mussulmana, sono di poco successivi alla persecuzione del popolo armeno ma non la misero in discussione  preoccupandosi solo di imporre da allora una verità di stato sostanzialmente negazionista.

 

A questa stessa verità di stato, ormai centrata sul rifiuto non tanto dei fatti quanto della loro qualificazione come genocidio, si ispira la dura e minacciosa reazione di Erdogan e del Governo turco alle parole del Papa. E’ un atteggiamento grave e inaccettabile. Nessuno può pensare che la rimozione di una parola possa comportare anche una cancellazione della realtà storica. La scomparsa del popolo armeno dalla Turchia non fu un atto volontario. Solo il riconoscimento di questa realtà, solo la verità  storica possono consentire al Popolo e allo Stato turco di liberarsi delle proprie colpe e delle proprie passate responsabilità.

 

Chi scrive appartiene a una forza politica che si è battuta e continua a battersi per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea e che, in  un recente passato, aveva sperato sulla ripresa del dialogo fra Turchi e Armeni che non poteva non passare    attraverso un franco e duro confronto su quei tragici avvenimenti passati. Non c’è dunque nessun pregiudizio nei confronti di Ankara, che abbiamo sempre considerato un interlocutore necessario dell’UE e dell’intero Occidente.

 

Con amicizia va consigliato al Governo di Ankara di seguire l’esempio del Governo e dello stato tedesco e quello più recente e ancora più significativo del Sud Africa quando bianchi e neri decisero di fondare la loro riconciliazione e la loro convivenza non sulle condanne (e le frettolose e false corrispondenti assoluzioni) ma sul riconoscimento dei torti subiti dalle vittime e quindi sulla verità. E la riconciliazione più importante non è tanto quella fra Erdogan e il Papa e neppure quella fra Turchi e Armeni, è quella con il proprio passato. 

 

 


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