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18/04/24 ore

Bonino, quell’intesa necessaria con l’Iran sul nucleare



di Antonella Rampino 

(da La Stampa del 20/10/2014)

 

È appena tornata dall’Iran, dove con un gruppo di esperti di Medio Oriente europei ed arabi organizzato dall’European Council on Foreign Relations ha avuto un briefing di due ore e mezza con il ministro degli Esteri Zarif. Ma dal paese del quale da ministro degli Esteri italiano fu la prima, in Europa, a captare il forte segnale di cambiamento politico con la vittoria dei riformisti, Emma Bonino torna con un allarme: «Se i negoziati sul nucleare non andassero a buon fine si brucerebbe l’unica reale possibilità di iniziare un processo di stabilizzazione dell’intera regione».

 

- Si deve chiudere entro il 24 novembre a Ginevra. È una preoccupazione che ha percepito in Iran, il ministro Zarif vi ha fatto cenno?

 

«Tutt’altro. Zarif ci ha esplicitamente detto che comunque il governo dell’Iran procederà normalmente. Ma da molti segnali si capisce invece che se non si chiude l’accordo sul nucleare quello sarà il punto di non ritorno. Si sente che la pressione dei conservatori sul governo riformista, su Rohani e lo stesso Zarif, è fortissima. Si può ripetere quello che accadde con Khatami, quella stessa finestra di opportunità si può richiudere. Allora dopo Khatami ci furono otto anni di Ahmadinejad. L’Occidente non può permettersi che la storia si ripeta. Anzitutto perché l’Iran è un grande paese, ed è uno dei pochissimi paesi islamici che non è anti-occidentale né anti-americano».

 

- È stato scritto più volte che la Guida Suprema, e capo dei falchi conservatori, Ali Khamenei avrebbe «concesso» tempo ai riformisti fino alla conclusione dei negoziati 5+1. Cosa potrebbe succedere se la trattativa saltasse?

 

«Vediamo cosa accadrebbe se andasse in porto. Ovviamente è auspicabile un serio accordo, con monitoraggio affidabile. Dopo, si aprirebbero possibilità di dialogo con un attore di grande rilevanza, per non dire con il protagonista, in tutta la regione, dall’Afghanistan al Libano, paesi niente affatto stabilizzati, chiamandolo alle proprie responsabilità anche e soprattutto per Siria ed Iraq. E naturalmente, nella lotta all’Isis. I droni possono essere una tattica, ma non una strategia: se diciamo che il Califfato è l’incarnazione dell’ideologia sunnita, l’ideologia non è con le bombe che si batte».

 

- Non starà dicendo che occorre trovare un accordo a tutti i costi con l’Iran...

 

«Niente affatto. Serve tutto fuorché un accordo purché sia, e infatti Kerry e Ashton stanno definendo una road map per arrivare al 24 novembre. E con Zarif avranno il primo incontro già sabato 25 ottobre. Ma occorre fare ogni sforzo per trovare un punto di mediazione, e tenere presente alcuni punti. L’Iran, l’accordo contro la proliferazione che altri non hanno sottoscritto, l’ha firmato. E i punti di discussione, anzitutto il numero delle centrifughe e il tipo di arricchimento nucleare, sono sostanzialmente gli stessi dai tempi di Khatami».

 

- Insomma, lei sottolinea le responsabilità dell’Occidente, che deve evitare di ripetere gli stessi errori.

 

«E deve farlo non per generosità verso l’Iran, ma per se stesso, perché la carta di un accordo serio con l’Iran è l’unico possibile elemento cardine di un processo di stabilizzazione dell’intera regione. La posta in gioco è questa. Quello che temo, è che l’Occidente resti fermo su alleanze che ha ormai da vent’anni, e che in vent’anni non ci hanno portato da nessuna parte».

 

- È all’Arabia Saudita che pensa?

 

«L’odio sunnita-sciita non si è mai spento, è storico, culturale, religioso e geopolitico. Adesso è in atto una sorprendente alleanza tra Arabia Saudita ed Israele, forse momentanea e fragile ma molto efficace sul Congresso Usa al quale Netanyahu ha detto che il problema non è l’Isis ma l’Iran. Il tutto in uno scenario mediorientale nel quale ogni Paese segue la propria agenda mentre si bombarda l’Isis. Dobbiamo invece considerare una differenza fondamentale: i sunniti vogliono un Islam politico, gli sciiti in Iran hanno scelto la via delle elezioni, una forma di democrazia islamica. È questo, certo, che terrorizza le monarchie del Golfo».

 

- Eppure ricordo di aver sentito Zarif raccontare qui a Roma, a porte chiuse, di un incontro con i sauditi nel quale s’era trovato un accordo di non-interferenza...

 

«Già, ma poi l’Arabia Saudita ha abbassato il prezzo del petrolio, mettendo in difficoltà anche Russia e Stati Uniti. Non mi pare una coincidenza...».

 

- Lei teme la pigrizia europea. Ma quali sono le posizioni su questa partita nella Ue, stante che l’Italia è tagliata fuori dal negoziato?

 

«Mi pare ci sia una certa rigidità francese, mentre gli inglesi stanno negoziando per riaprire l’ambasciata a Teheran. La Germania è maggiormente consapevole della posta in gioco e della complessità dell’intero dossier mediorientale, e punta molto sulla diplomazia».

 

 


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