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16/05/24 ore

Caso Robledo-Bruti Liberati, l'intervento accomodante di Napolitano


  • Ermes Antonucci

Il plenum del Csm, rispettando tutte le previsioni, ha archiviato l’esposto presentato dal procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo contro il capo dell'ufficio Edmondo Bruti Liberati per il caso relativo alle modalità di assegnazione dei fascicoli. Ma a mantenere alto il livello delle polemiche ci ha pensato l’intervento a gamba tesa del presidente della Repubblica, decisivo per sbrogliare la matassa di un conflitto, come quello milanese, che stava assumendo profili imbarazzanti.

 

A poche ore dal voto del plenum del Csm sulla vicenda, infatti, il Capo dello Stato ha inviato una lettera ai vertici del Csm con la quale si raccomanda la “tutela della credibilità” dell'ufficio giudiziario “indebolito dall'eccesso di polemiche”, “tenendo conto del ruolo e delle responsabilità che la legge sull'ordinamento giudiziario attribuisce al capo dell'ufficio”. Un intervento, quello di Napolitano, chiaramente a sostegno del procuratore capo Bruti Liberati, e che sarebbe riuscito a raggiungere l’esito sperato, con l’archiviazione della vicenda.

 

Con la relazione tracciata nei giorni scorsi dalla Settima commissione – competente per l’organizzazione degli uffici –, fortemente critica nei confronti del quadro organizzativo della procura milanese (caratterizzata da “significative lacune”), l’intera faccenda aveva assunto una piega inaspettata, complessivamente severa sull’operato del capo ufficio e aderente, invece, alle tesi del procuratore aggiunto.

 

L’intervento di Napolitano è stato dunque determinante per dare una sferzata al caso, come dimostrano le modifiche subite dalle relazioni prodotte dalle commissioni competenti, con un sostanziale ammorbidimento dei giudizi e degli aggettivi utilizzati in precedenza dalla Settima Commissione. In particolare quelli relativi alle scelte organizzative interne, che da “discutibili”, come scritto nel testo originario, si sono trasformate in semplice “oggetto di rilievi da parte della Settima Commissione”.

 

Ad aggravare il clima già molto teso attorno alla vicenda, ci ha pensato anche la decisione di non rendere pubblica la lettera scritta dal Capo dello Stato al Csm, dato il suo carattere di “riservatezza”. Una disposizione che ha generato comprensibili critiche, e che rischia di apparire come un’ulteriore prova del tentativo di “occultamento” di una questione ormai di pieno interesse pubblico.

 

Un punto sottolineato dal togato di Magistratura indipendente Antonello Racanelli, che, dopo aver lamentato il fatto di averne appreso l’esistenza dai giornali, ha fatto notare al vicepresidente del Csm Michele Vietti che “se si richiama il carattere riservato della lettera, ma poi se ne fa un uso pubblico in plenum, la riservatezza viene meno, e c’è il rischio di interpretarla, al di là delle intenzioni, come una pressione”. Dello stesso parere il laico Nicola Zanon per il quale “è una scelta surreale che la lettera non sia stata né letta né consegnata ai consiglieri”.

 

La decisione del Csm di inviare gli atti al Procuratore generale della Cassazione e al ministro della Giustizia, titolari dell'azione disciplinare, perché vaglino le condotte dei due contendenti su alcune inchieste (come Sea ed Expo, ma non il caso Ruby), assume dunque alla luce degli ultimi sviluppi la forma di un semplice atto dovuto.

 

C’è infatti da constatare, purtroppo (nonostante qualcuno già parli in maniera del tutto strumentale di una “vittoria di Bruti Liberati”), che la conseguenza più evidente dell’intervento del deus ex machina Giorgio Napolitano è proprio quella di evitare ogni forma di valutazione reale sulle responsabilità avute dai diretti interessati nella vicenda. Con buona pace proprio di quella “credibilità” evocata dal presidente della Repubblica.


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