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02/05/24 ore

Bagnolifutura, un fallimento emblematico


  • Ermes Antonucci

Pochi giorni fa il tribunale di Napoli ha dichiarato il fallimento di Bagnolifutura, la Società di trasformazione urbana controllata dal comune di Napoli che aveva la missione di bonificare le aree ex Italsider di Bagnoli e predisporne la riconversione. Sul tema è intervenuto, intervistato da Radio Radicale, il direttore di Agenzia Radicale e Quaderni Radicali Giuseppe Rippa, che con Aldo Loris Rossi e Marco Pannella proponeva, già di fronte ai primi segnali di crisi dello stabilimento siderurgico agli inizi degli anni '90, alternative possibili a quelle rivelatesi poi disastrose.

 

Il piano di riconversione ideato sul finire degli anni ’80 dalla classe dirigente per frenare la parabola dell’Italsider, che ai suoi tempi d’oro era giunta a contare circa 25mila dipendenti diretti e dell’indotto, presenta molti di quelli aspetti scellerati e di incoscienza civile e sociale che hanno caratterizzato la lunga stagione della partitocrazia, oggi ancora ben presente.

 

Il rilancio dell’area, infatti, in virtù – come ricorda Rippa – del “combinato disposto del sindacalismo operaista e dei grand commis di Stato delle partecipazioni statali”, ignorò completamente i segnali di crisi della siderurgia che già prendeva forma in tutta Europa, a partire dalla Gran Bretagna, per concretizzarsi, prima, in investimenti folli (come quelli relativi al “buco nero” del treno tecnologico avanzato per laminatoi leggeri, poi regalato alla Corea) e, successivamente, in un piano edilizio privo di ogni senso economico.

 

“Quando si avvia la Variante per la Zona Occidentale – sottolinea il direttore di Agenzia Radicale – in realtà si pensa ad un piano di speculazione edilizia. Basti osservare che a quei tempi, nel 1995, avevamo un’area con circa 5mila vani vuoti, con il paradosso di un numero di vani gia' allora superiore a quello degli abitanti”.

 

Il problema fondamentale – prosegue Rippa – è che dietro quel patto scellerato c’era la conferma di ciò che noi su Quaderni Radicali definiamo da tempo ‘la società delle conseguenze’, quella che si è formata in sessant’anni di post-Yalta, in cui l’Italia era un paese frontiera dei due blocchi mondiali e nella quale il mantenimento della pax sociale si realizzava attraverso il debito pubblico ed equilibri spartitori in chiave consociativa”.

 

A governare, insomma, era una classe dirigente che, formata in una logica di cooptazione, “non si è mai posta il problema del ‘chi paga’, né quello della difesa dei diritti dei più deboli, legati al disastro ambientale”. Il risultato di tutto ciò è l’esclusione sistematica dal processo decisionale delle proposte avanzate nel corso del tempo dai radicali, a partire dalla presentazione (ASCOLTA) del “Manifesto per un progetto alternativo per Bagnoli”, elaborato nel 1995 dall’architetto Aldo Loris Rossi e firmato da decine di personalità di spicco del mondo intellettuale e non.

 

Proposte “dimenticate”, ora rievocate indirettamente, a distanza di due decenni, anche dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, che però si guarda bene dall’includere nel proprio schieramento e programma politico una componente liberale che, come dimostrano i fatti, avrebbe molto da dire.

 

 


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