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18/04/24 ore

Europa, ridare un senso all'identità nazionale



conversazione con Biagio de Giovanni

 

- La crisi europea si manifesta su più fronti. Quello che potremmo definire macroeconomico (con gli effetti monetari e di cambio che producono una notevole riduzione delle attività economiche), che ha finito, con la moneta unica, per mettere in evidenza le differenze tra i vari Paesi, anche nell’Eurozona, tra quelli in crescita e quelli in declino, senza adeguate compensazioni. E poi i vincoli fiscali, con il disavanzo che deve restare nei limiti del 3%, con il debito che non deve andare oltre il 60%; quello delle istituzioni europee e di autorità degli Stati che formano la Comunità, crisi di governance nella maggior parte dei membri dell’Unione.

Uno scenario che sta mettendo in gioco la democrazia, le ragioni fondative della Ue, con la sempre più ampia e corrosiva azione di movimenti antieuropeisti, anti-euro, qualunquisti e tendenzialmente reazionari e fascisti, con varie configurazioni nei singoli Paesi ma con la medesima matrice sub-culturale...

 

Innanzitutto io considero la crisi europea una vera e propria crisi sistemica. Non si tratta solo di crisi economica, di crisi legata a squilibri meramente monetari, tutti elementi naturalmente importantissimi. Dal mio punto di vista, si tratta di una vera e propria crisi sistemica che ha rimesso in discussione i caratteri originali del progetto originario europeo.

 

Faccio un piccolo passo indietro, ritorno al momento dell’unificazione tedesca. Quando questo soggetto nuovo, la Germania unita, entra a far parte dell’Europa come grande potenza politica, muta la natura dell’Europa. Questo non vuol dire assolutamente un giudizio negativo sull’unità tedesca; giudicavo e giudico estremamente positivo che questa nuova realtà abbia deciso di essere parte integrante della comunità e di non prefigurarsi come una terza forza verso l’Est e questo per numerosi motivi. Però, nel momento in cui è avvenuto questo fatto, siamo nei primi anni novanta, l’Europa doveva trovare la capacità di riarticolare integralmente il proprio sistema politico. Non lo ha fatto ed è accaduto che l’ingresso della Germania unita in Europa ha spostato tutti gli equilibri di forza, anche quelli che si volevano raggiungere con l’unione monetaria.

 

Questo non è un ragionamento reazionario o proprio di quei filoni nazionalistici che attraversano il Continente. Sono considerazioni che ha fatto per esempio una persona come Helmut Schmidt. Sono in molti dunque che sottolineano il fatto che l’Europa ha avuto nella Germania una forza che ha una tale potenza da diventare naturalmente egemone nel processo di integrazione europea.

 

- Eppure in quella fase fu proprio la Francia di Mitterand che volle l’ingresso nell’Euro della Germania unita...

 

...perfettamente, fu proprio la Francia che lo volle in quella fase, immaginando che proprio quello che si era venuto a realizzare dovesse essere reimpostato e indirizzato attraverso la moneta unica e l’abolizione del marco. Mitterand immaginava con questo di poter stabilire una sorta di controllo sulla potenza tedesca... È avvenuto esattamente il contrario. Siccome nella politica, al di là dei buonismi imperanti, quei “buonismi” che se si dice qualcosa che non va nella loro direzione si diventa cattivi, i fatti dicono che i rapporti di forza contano e molto.

 

Di fatto la Francia ha perso, ha visto svuotarsi l’asse franco-tedesco che era il cardine dell’avanguardia poltico-istituzionale europea, e proprio da quando la Germania unita è entrata nell’Unione con la forma descritta, questo asse si è interrotto. Una prova di ciò è rintracciabile in qualche affermazione che in tempi più recenti Hollande (Sarkozy di fatto era una sorta di scendiletto della Merkel!) ha iniziato a fare richiamando una sorta di riferimento ai cosiddetti Paesi mediterranei (Italia, Spagna e Francia) che ritornano nelle sue deboli prese di posizione nella dialettica europea, ma è evidente che si tratta di cose ‒ diciamo così ‒ avventurose e addirittura prive di senso.

 

Credo sia utile richiamare questo dato storico-politico che di fatto è il principale da cui bisogna partire per interpretare lo stato delle cose. Ora bisogna ricordare che la Germania resta pur sempre un grande modello politico-economico, non ha certo solo la faccia di potenza economica, ma di fatto è proprio questa sua condizione che la spinge ad imporre all’Europa un modello di competizione elevato, talmente in alto, potremmo dire perfetto, da mettere in difficoltà tutto un fronte di popoli e di nazioni che, per raggiugere questa competitività, ha bisogno di sacrifici e di affrontare difficoltà che possono mettere in discussione la coesione sociale. Non intende essere un discorso banalmente anti-tedesco, ma il ragionamento serve a delineare dove nasce la crisi sistemica.

 

Questo è il grande dato storico-politico. Si è avuto dunque in un sistema, che nasceva con una volontà anti-egemonica in origine (e ciò spiega perché parlo di crisi sistemica), in un sistema in cui, almeno in linea teorica, tutti gli Stati erano eguali, si è venuta a creare una tale asimmetria tra i vari stati e i vari rapporti di forza, da individuare un vero e proprio sistema egemonico in cui gli Stati più forti, in particolar modo la Germania, diventano di fatto egemoni.

Insisto che questo ragionamento non vuole indicare un tema anti-tedesco, ma solo la registrazione di un dato nel quale ci possono essere anche elementi di valore, positivi, nel senso che il modello economico-politico tedesco resta un grande modello.

 

Ma il problema è: si può omologare l’Europa intorno a quel modello? ci si può riuscire? Queste discrasie, questi squilibri sono gestibili, sono governabili? Questa domanda mi consente di rispondere al quesito che mi è stato posto in introduzione...

 

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