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03/11/24 ore

I fraitendimenti di Goffredo Bettini e il suo disegno restaurativo


  • Luigi O. Rintallo

Nell’intervista di qualche giorno fa concessa a «La Stampa», Goffredo Bettini fa il punto sull’attualità politica e si prodiga a diradare le nubi su una possibile fine del governo. Si dice convinto che una rottura della maggioranza attuale avrebbe come solo esito le elezioni e, per questo motivo, sottolinea la necessità di dare ad essa più coesione ed autorevolezza lavorando a una visione di più largo respiro

 

Bettini è fra i modellatori della soluzione trovata alla fine dell’estate 2019, quando anziché al voto si operò un rovesciamento delle alleanze politiche, confermando Conte quale premier e sostituendo la Lega con il PD e Leu al fianco dei 5Stelle, detentori del 32%  dei voti. Lui e Matteo Renzi allora agirono in sintonia, mentre adesso sembra si collochino su sponde diverse. Anzi, si può affermare che tutta l’intervista non sia altro che un drastico avvertimento all’ex segretario del PD, oggi leader di Italia Viva.

 

Al tempo stesso, però, Bettini lancia un monito al presidente del Consiglio laddove rileva che diventa “indispensabile preparare con cura i dossier”, che implicitamente significa come finora non sia stato fatto; e lo stesso può dirsi per quanto dice subito dopo a proposito del “fare lavorare collegialmente i ministri, rispettare i passaggi politici necessari per informare e unire i partiti che sostengono il governo”. Insomma, se in apparenza Bettini vuole presentarsi come “difensore” del governo e spalla sicura del premier, vi è più di un segnale che lo descrive in maniera alquanto diversa.

 

In realtà, Bettini è preoccupato dello stillicidio di iniziative renziane e teme possano far precipitare una situazione che, lui per primo, percepisce come critica e instabile. Anche la stessa minaccia del voto subito in caso di crisi lascia il tempo che trova. In primo luogo, perché nel Parlamento non vi è davvero nessuno che se la sente di andare alle elezioni, nemmeno le forze di opposizione sovranista come la Lega e Fratelli d’Italia.

 

In secondo luogo, perché lo stesso Bettini nel prosieguo dell’intervista lascia intravedere scelte alternative. Sebbene si premuri di assicurare che il nome del premier non è messo in discussione, non esclude il rimpasto – anche corposo – e soprattutto una ricalibratura complessiva del programma di governo, ponendo l’obiettivo primario di una legge elettorale in senso proporzionale.

 

Dal suo intervento, emergono in definitiva i contorni del disegno restaurativo di cui Bettini pare investire il PD. Il tutto all’insegna della riproposizione di un modello interpretativo che non si distacca da quello dei “giovani di Berlinguer” ai quali anagraficamente appartiene con D’Alema e Veltroni. Come si possa credere che a cinquant’anni di distanza quel modello possa tornare utile è davvero inspiegabile, se non con la pervicacia di una volontà gattopardesca interessata più alla conservazione del potere che non al cambiamento e alla ricerca di soluzioni realistiche.

 

Per di più egli commette, a nostro avviso, un errore decisivo di valutazione sullo stato presente del sistema di potere del Paese. Al giornalista Carlo Bertini che gli chiede se non sarebbe più adatto un governo retto da tecnici, Bettini risponde rivendicando la centralità della politicaPer quanto riguarda i tecnici, l'Italia e il Pd hanno già dato. Se la politica stenta, occorre correggerla, rafforzarla, renderla più autorevole e persuasiva. Non abrogarla”, risponde. Solo che poi attribuisce all’attuale presidente del Consiglio Conte un ruolo politico che assolutamente gli è estraneo

 

Che la personalità del premier possa essere giocata come figura capace di catalizzare la leadership di uno schieramento politico ampio, in grado di “giocarsela” alle elezioni con il centro-destra come Bettini ha fatto dire a Dario Franceschini, è un clamoroso fraintendimento. Giuseppe Conte non è giunto per caso, ma rappresenta piuttosto la propaggine avanzata della conquista dello Stato e della politica da parte degli apparati autoreferenziali e corporativi.

 

E non è certamente attraverso di essi che passerà un rilancio della politica e della partecipazione democratica. Tutt’altro.

 

 


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