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03/05/24 ore

Renzi, l’Europa e…oltre


  • Silvio Pergameno

Stiamo attraversando una situazione confusa, in Europa (e anche fuori), nella quale confusa, e parecchio, appare oggi anche la posizione dell’Italia e non priva di movenze che rivelano contraddizioni. Non da poco. In questo panorama ciò che colpisce di più è l’assenza di qualche punto fermo, di qualche principio orientativo di un percorso condiviso non solo tra tra i paesi europei, ma all’interno delle stesse forze politiche. Anzi le divergenze si accentuano. Di qui le critiche all’Europa, all’Europa anche come tale e non soltante per le forme e le pieghe che ne contraddistinguono la storia e il presente, sulle quali le nostre critiche sono sempre state puntuali.

 

È facile muover critiche a una Francia, chiusa nel suo nazionallismo inconcludente e colpevole di aver bruscamente interrotto il percorso verso una possibile federazione europea, rifiutando il trattato per la creazione di una Comunità europea di difesa (30 agosto 1954), che conteneva principi di sovranazionalità. E non è difficile osservare che quel fatto, o misfatto, ha aperto la porta in tutta Europa a un ritorno al passato, riveduto ma non corretto: gli stati nazionali hanno iniziato un cammino di restaurazione, che il cosiddetto “europeismo” non è riuscito a bloccare; anzi l’integrazione europea ne è risultata gravemente deformata. E gli anti-europei, di destra e di sinistra, hanno avuto buon gioco nell’avvalersi di tutti gli espedienti e i trucchi del vecchio nazionalismo nel gioco allo sfascio dell’Europa, facendone facile bersaglio di tutte le rimostranze per le carenze legate invece alle carenze degli stati nazionali.

 

In Germania negli anni del dopoguerra proprio la CDU (il partito di ispirazione religiosa che fu di Konrad Adenauer e ora è di Angela Merkel) fu la forza politica che espresse in Europa una delle spinte più forti per l’avvio di una federazione continentale, mentre poi alla fine degli anni sessanta il movimento studentesco animò la presa di coscienza da parte dei figli, unita a momenti alti della cultura, delle colpe dei padri e dette così un’anima, un’anima vera a una democrazia che rischiava di essere percepita come un’imposizione di vincitori e un loro strumento di dominio.

 

Il processo avvenne in un quadro nazionale, nel quale tendeva a chiudersi in particolare - proprio contro la politica della CDU, rimasta quanto meno “occidentalista” – la socialdemocrazia tedesca (SPD), puntando invece, e soprattutto, sulla riunificazione del paese: una prospettiva da perseguire attraverso un accordo tra i due stati nei quali la nazione era allora divisa, Repubblica federale e la Repubblica democratica, i Wessis e gli Ossis -, passaggio centrale di un’Ostpolitik. Senza contare poi sul fatto che la Germania era stata divisa per mortificarne certe pericolose aspirazioni e che dietro la DDR c’era l’Unione Sovietica.

 

E se poi non si vuol mettere in dubbio che questo progetto fosse coltivato con le migliori intenzioni, non si può ignorare che esso richiamava inesorabilmente quella spinta a oriente, passaggio centrale dell’imperialismo tedesco. Ed ha messo la Germania su una strada che ha finito, comunque, col portare Gerhard Schröder ai vertici di Gazprom, strumento principe del rinnovato imperialismo russo in veste putiniana. Che non ci pare il modo migliore per affrontare l’ineludibile problema della costruzione di un rapporto con la Russia, rispettoso di un’Europa democratica e che all’Europa democratica eviti certi sfregi.

 

Tutto questo stato di cose ha portato alla fine – quando ce ne sono state le condizioni - a una riunificazione tedesca tutta nazionale, avviata proprio dal crollo del Muro di Berlino, e a una conseguente crescita, tutta nazionale, della rinnovata potenza tedesca. Con limiti e contraddizionimolto pesanti: soprattutto vi è rimasto accoppiato, proprio nei tedeschi più amanti della democrazia, un senso di colpa, quasi come unico antidoto a un passato che fa paura e nel quale si teme di ricadere, un terriibile destino, al quale, in una Germania abbandonata a se stessa e che deve decidere tutto da se stessa, sembra non esistano alternative. E, dovremmo anche dire, che questa è la migliore delle ipotesi, perché ne consegue soltanto la riottosità tedesca ad assumersi le responsabilità di maggior potenza europea.

 

Ma altrimenti? Se questo è il quadro di fondo della condizione europea, è allora inevitabile chiedersi che senso abbiano le millanterie alle quali il Presidente del Consiglio affida la sua insofferenza – non ingiustificata -verso tanti aspetti della politica tedesca, ma che ha poco senso consegnare a un inseguimento a Salvini, del tutto controproducente, poi, agli effetti proprio del conclamato obbiettivo di avviare il PD su un percorso riformista, obbiettivo cui non giova certo stuzzicare le paradossali sensibilità del nazionalismo più démodé.

 

Su questa strada non si costruisce un moderno e dinamico riformismo, ma ci si mette al seguito del predidente Hollande, che, continuando a scivolare sulla lunga china su cui nel secondo dopoguerra si è messo il Parti socialiste, porta dritto dritto a enormi perdite din consenso a tutto vantaggio delle fortune del Front national, cui si cerca di far fronte con alleanze innaturali, che mortificano proprio la tradizione repubblicana. Lasciarsi andare all’euroscetticismo più corrivo, poi, non sembra coerente con la stesse posizioni di Renzi medesimo, il quale insiste pure sulla necessità di un’Europa diversa e questo sembra sarà l’orientamento con il quale affronterà il chiarimento con Angela Merkel il 29 gennaio prossimo; inoltre non sembra che, ad esempio, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con incarico per Affari europei, Sandro Gozi sia stato messo a quel posto contro la volontà di Renzi…

 

Cerchiamo di spiegarci. Sandro Gozi ha rilasciato a Repubblica (dell’11 gennaioo u.s.) un’intervista nella quale non solo sostiene pienamente la strada della riforma dei trattati, ma indica un percorso inteso a mettere l’Unione, proprio sulla strada di una maggiore integrazione, con un’Europa a due velocità, e avviando la costruzione di un nucleo degli stati avanzati: legittimare democraticamente le istituzioni, con un ministro dei Tesoro unico votato dal Parlamento europeo e sotto il suo controllo, cioè una vera Unione eonomica con una sua politica sociale, con un bilancio per fare investimenti e crescita, se non si vuol restare all’applicazione di regole troppo rigide.

 

Si tratta di una proposta sensata, che anche chi scrive ebbe occasione di formulare. L’Europa attuale ha accolto tutti quelli che sono voluti entrare, compresi gli svedesi, che esprimono la più introversa delle socialmedemocrazie e sono lo stato che ospita sì, percentualmente in rapporto al numero degli abitanti, il numero più alto di immigrati e garantisce loro il miglior tenore di vita come ai cittadini svedesi, ma lo fa, attenzione, come un compito nazionale, il compito di una socialdemocrazia rispettabile. Per cui poi non ci si deve meravigliare che il premier socialdemocratico Stefa Löfven arriva a giustificare la chiusura del ponte che collega Malmöa Copenhagen, unico punto di accesso in Svezia per gli immigrati, dicendo che non poteva accoglierne altri, non essendo in grado di garantire ai nuovi venuti un tenore di vita allo stesso livello dei cittadini svedesi…. Si tratta, è chiaro, di posizioni di fondo assolutamente incompatibili con un progetto di sempre maggiore integrazione europea, che danno man forte agli euroscettici nel bloccare, come stanno bloccando, ogni possibile passo avanti.

 

Far fuori la Svezia allora? No, di certo, ma consentire a chi vuole andare avanti di poter andare avanti. C’ anche un altro aspetto per il quale l’Europa a due velocità appare come l’unica soluzione possibile se si vuol andare avanti. Nel futuro prossimo dell’Europa c’è la necesità dicostruire un rapporto decente con la Russia: e allora come la mettiamo con i paesi dell’est europeo, terrorizzati (non a torto…) al solo senti parlare di Russia? Un altro punto.

 

Matteo Renzi parla anche di un partito democratico come partito della nazione. Potrebbe non esserci nulla di male qualora si facessero i conti proprio con l’idea di nazione. Perché occorre chiarire a quale nazione si pensa: a quella di Mazzini, di Kossuth, dei giovani intellettuali tedeschi che quando avanzavano le truppe di Napoleone piantavano alberi della libertà o alla nazione di Mussolini, di Hitler o dei Pétain e dei Laval della Repubblica di Vichy, con i quali oggi anche Marine Le Pen taglia i ponti, mentre quella repubblicana muore, uccisa perché si è annullata nello stato, del quale ha ereditato tutte le politiche e tutti i problemi?

 

Lo stato e la nazione non sono la stessa cosa e solo uno stato federale europeo, nel quale tutte le nazioni si ritrovino come fratelli e non più riodotte a fiori all’occhiello di potenze rivali può restituire ad esse il rispetto e l’attaccamento, che ne costituisce l’essenza.

 

 


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