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12/10/24 ore

Il falso dibattito su droga e discoteche, il vero fallimento è delle politiche proibizioniste



di Marta Palazzi

 

Negli ultimi giorni i fatti di cronaca che hanno avuto maggiore rilievo sui quotidiani e nelle televisioni sono stati indubbiamente quelli relativi alle morti in discoteca. Al caso di Lamberto Luccaccioni, il sedicenne di Città di Castello morto per una dose di ecstasy al Cocoricò di Riccione, sono seguite altre morti in discoteca che, anche se non legate ad assunzione di droga, hanno contributo ad alimentare una montagna di dichiarazioni sulla necessità di introdurre controlli, chiusure e divieti per locali e discoteche.

 

Una montagna che, a due settimane dalla morte del sedicenne, ha partorito l’inutile topolino della chiusura del Cocoricò, disposta dal questore di Rimini per la durata di quattro mesi. Politici, psicologi, preti, imprenditori nel settore dei locali notturni, esponenti di comunità di recupero, e da ultimo anche il Papa, stanno tenendo acceso un falso dibattito su droga e discoteche, elargendo giudizi che – da qualunque parte arrivino – si esauriscono quasi sempre nella condanna della “cultura dello sballo” e nell’invito a continuare la lotta alla droga. Il fatto poi che questa lotta non abbia portato a nulla nemmeno quando ha assunto i contorni, almeno a livello propagandistico, della Crociata, non viene tenuto nella minima considerazione.

 

La sintesi più efficace di tale girandola di parole è rappresentata da un comunicato di Vanna Iori, deputata del Partito Democratico e responsabile nazionale del partito per l’infanzia e l’adolescenza: “Ci troviamo di fronte a un quadro allarmante, con un numero crescente di giovani che nel nostro Paese abusano di sostanze stupefacenti per colmare il vuoto esistenziale. … La lotta alle droghe pesanti, che deve procedere senza sosta, deve accompagnarsi a un maggior sostegno, a livello psicologico, dei ragazzi e degli adolescenti più fragili”.

 

Il giudizio moralistico sul “vuoto esistenziale” e sui giovani “più fragili”, le ricette fallimentari a base di lotta alle droghe e sostegno psicologico elargite non tanto e non solo dal Papa o dal Giovanardi di turno, ma da una esponente del maggiore partito di governo, confermano una volta di più che l’Italia ritiene ancora valide le politiche proibizioniste fin qui seguite e che ad aprire un dibattito sulla legalizzazione delle sostanze stupefacenti non ci pensa proprio.

 

Non solo: questo dibattito monocorde non fa nemmeno ben sperare in una rapida approvazione della proposta di legge per legalizzazione della cannabis presentata dall’intergruppo di 218 parlamentari capitanati da Benedetto Della Vedova, che - per quanto timida - rappresenterebbe un primo passo verso un diverso approccio alla questione droghe.

 

Un diverso approccio peraltro sostenuto ufficialmente dalla Direzione Nazionale Antimafia, che nella sua Relazione 2015 al Parlamento italiano parla apertamente del fallimento dell’azione repressiva e della necessità di una depenalizzazione delle cosiddette droghe leggere.

 

Sempre nella Relazione della Dia si trova la conferma dello strapotere che la ‘ndrangheta esercita nel traffico di cocaina e nello smistamento delle altre droghe pesanti, attraverso il totale controllo sul porto di Gioia Tauro: un altro forte argomento nella direzione della legalizzazione anche delle droghe pesanti, intesa come sottrazione alle organizzazioni mafiose della loro maggiore fonte di reddito e di controllo del territorio.

 

Ancora altri dati confutano le tesi della deputata PD, configurando l’approccio antiproibizionista come il migliore per affrontare il problema. Lo psichiatra Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento dipendenze della Asl di Milano, in una intervista rilasciata a Chiara Daina sul Fatto Quotidiano dell’11 agosto scorso delinea un quadro del tutto diverso da quello tracciato dalla deputata PD.

 

Secondo Gatti il numero di chi abusa di droghe non è sostanzialmente aumentato ma, a differenza di un tempo, le droghe oggi sono più economiche, alla portata di tutti, di facilissima reperibilità e quindi più accessibili, soprattutto per un uso occasionale “per puro scopo edonistico”.

 

Gatti, pur senza dare indicazioni sulla direzione da seguire, mette in evidenza un nodo cruciale, conseguenza delle politiche proibizioniste sulle droghe: i narcotrafficanti immettono sul mercato sostanze con componenti totalmente fuori controllo, dagli effetti imprevedibili e perciò pericolosissime. Proprio per questo sarebbe fondamentale informare i giovani sulle reazioni dell’organismo alle diverse sostanze stupefacenti per evitare incidenti e un eventuale rischio di morte.

 

Molte di queste analisi sono condivise dalla maggioranza degli italiani da tempo, se si considera che già nel 1993 i cittadini si espressero a favore del referendum promosso dai Radicali per l’abolizione delle sanzioni penali nei confronti dei tossicodipendenti, riconoscendo come un approccio repressivo e punitivo non fosse la soluzione del problema.

 

Dopo oltre vent’anni dobbiamo ancora riscontrare come la distanza tra gli elettori e i politici sia ancora lungi dall’essere colmata.

 

 


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