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17/05/24 ore

Terremoto a L’Aquila, le assoluzioni di secondo grado


  • Silvio Pergameno

La Corte di appello dell’Aquila ha assolto 6 - su 7 - componenti della Commissione Grandi Rischi, che, pochi giorni prima del terremoto dell’aprile 2005, avevano espresso parere negativo sulla possibilità immediata di un evento sismico; gli aquilani così erano rimasti nelle loro case e avevano subito le pesantissime conseguenze delle scosse, con il gran numero di vittime che era stato provocato.

 

Alla lettura del dispositivo è esploso il dolore e l’indignazione dell’affollata aula dell’udienza, con la presenza in particolare dei parenti dei deceduti e dei feriti: proteste, lacrime, insulti da parte di quanti si sono sentiti traditi per motivi incomprensibili, insussistenti a loro giudizio. Non poteva essere altrimenti. Le motivazioni della sentenza saranno conosciute all’atto della pubblicazione, ma quasi sicuramente esse possono essere previste.

 

Come prevedibile poteva essere anche l’esito di un processo della natura di quello dell’Aquila. Una commissione che deve esprimere un parere sulla prevedibilità di un evento naturale non possiede alcun potere di divinazione; essa opera in base ai precedenti della fenomenologia, ai caratteri della zona, agli eventi passati e a tutti gli strumenti che la scienza offre; certo può agire in modo affrettato, superficiale, privo di diligenza; né si può escludere a priori che possa comportarsi in modo fraudolento, ingannevole, truffaldino.

 

Ma evidentemente i giudici dell’appello non hanno riscontrato ipotesi del genere. Né si possono trascurare gli effetti delle pronunce dei giudici sulle persone dei componenti delle Commissioni e sulla necessità che sia loro assicurata ogni possibile serenità di valutazioni. E il discorso può estendersi a tutti i casi nei quali sono in gioco valutazioni sull’esperienza, la cultura, la preparazione di professionisti.

 

Inoltre, nell’ambito della vertenza giudiziaria dell’Aquila, sarà importante – sotto il profilo giuridico - confrontare la sentenza assolutoria dell’appello con quella di condanna in primo grado, una piaga che purtroppo affligge in misura rilevante la giustizia del nostro paese e denota l’esistenza di latitudini culturali troppo marcate tra i giudici: la libera interpretazione della legge, la libera valutazione delle prove e dei fatti da parte del giudice sono caratteri essenziali della giustizia dei paesi democratici.

 

Ma nelle società nelle quali le distanze culturali interne sono profonde - e di esse la formazione dei giudici ovviamente risente - le conseguenze sono rilevanti, perché la diversità delle conclusioni cui pervengono i giudici - in casi se non identici, almeno analoghi - rappresentano una palese ingiustizia, soprattutto agli occhi delle popolazioni. E se anche il compito dei giudici non è quello di soddisfare le esigenze di giustizia sostanziale, ma quello di applicare la legge, si tratta di una situazione assai incresciosa, che la politica non può ignorare.

 

 


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