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03/05/24 ore

Da Monti a Letta la frittata è fatta


  • Silvio Pergameno

La crisi in cui è precipitata "Scelta civica" è stata  determinata da un processo tipico interno che ricalca perfettamente i percorsi perversi che affliggono oggi le altre forze politiche italiane: beghe meschine nelle quali finisce con il risolversi la dialettica interna, l’anima stessa dei partiti e dei movimenti.

 

Monti, come tutti ricordiamo – è storia di questi mesi – era giunto alla Presidenza del consiglio in un momento drammatico, perché gli interessi sul nostro enorme debito pubblico erano giunti a un livello così alto che stavamo rischiando di non essere in grado di fronteggiarne l’onere, con la conseguenza dell’esposizione al rischio di un fallimento che avrebbe comportato sia problemi enormi di disoccupazione, di cessazione di attività di imprese e di misure draconiane per tentare una risalita, come tassazioni iperboliche, tagli drammatici di stipendi e pensioni, imposte patrimoniali da far rabbrividire, come è successo in Grecia.

 

La crisi apertasi nel novembre del 2012 è stata tamponata con l’intervento del Presidente della Repubblica nelle modalità ben note e che hanno suscitato al momento tante critiche con riguardo alla conformità con la costituzione, critiche sulle quali "Agenzia Radicale" subito intervenne sottolineando il fatto che l’operato di Napolitano era del tutto conforme ai poteri che la carta conferisce al vertice supremo dello stato e ne rappresentava proprio la vera lettura.

 

Ciò non toglie che la vicenda di due anni fa abbia rivelato come la Repubblica italiana fosse ormai alla frutta, la prima e l’unica Repubblica dalla quale non siamo ancora usciti e come l’aver parlato dell’avvento di una seconda repubblica dopo manipulite sia stato solo un vezzo ridicolo di voler scimmiottare la storia della vicina Francia: cinque Repubbliche, ma marcate da eventi di enorme portata storica mondiale…

 

Manipulite ha spazzato via l’ossatura della classe politica italiana del secondo dopoguerra, compresa quella del PCI/PDS, che, per non essere stato sostanzialmente toccato dalle inchiesta giudiziarie, pensò che fosse giunta l’ora del suo trionfo, mentre la nazione, l’elettorato avvertì, magari confusamente, che un mondo era finito. Il PDS si mosse infatti sempre nell’ambito delle logiche e delle strutture dei tempi della prima Repubblica, con relative prassi interpretative della costituzione.

 

Si era di fronte all’esigenza estrenma di una riforma costituzionale in grado di assicurare governabilità, come ben aveva compreso Bettino Craxi già nei primi anni ottanta, ma che lo stato comatoso in cui navigava il suo partito non gli permise di portare a termine, stato comatoso, come quello della DC, che i tribunali hanno poi finito con il registrare, determinando una catastrofe proprio a causa della funzione di supplenza di fatto di cui sono investiti, risultante dalla carenza degli altri poteri e della rappresentanza politica: siamo rimasti senza governo. E la governabilità mancata si vendica e distrugge la stessa rappresentatività.

 

La vicenda di Berlusconi ne è stata la perfetta continuazione; ma lo è stata in un quadro politico in cui tutte le forze politiche hanno parimenti cooperato al degrado e l’accanita battaglia contro Berlusconi da parte della sinistra per come è stata condotta  ha fornito la prova che a sinistra non si voleva affrontare la questione di fondo. Con il risultato che la sinistra ancora una volta, con la supposta vittoria contro Berlusconi, si ritrova con un pugno di mosche in mano. E l’Italia pure. Senza giudizi sulle singole persone, a sinistra e a destra.

 

Se le soluzioni che debbono scaturire sul terreno politico vengono meno, se cioè viene meno quella capacità di discussione e di mediazione che è l’arte della politica, la creatività della politica, è chiaro che il massimo della illegalità produce conseguenze incalcolabili, come è successo in Italia in questi anni. Dare la colpa ai magistrati o alla magistratura è sbagliato, al di là di atteggiamenti e comportamenti criticabili. E’ sbagliato soprattutto perché mette su un terreno assai ridotto problemi di portata enorme.

 

E oggi l’esperienza Letta si rivela altrettanto modesta. Riforme istituzionali, e soprattutto costituzionali? Si è nominata la solita commissione, l’araba fenice che risorge imperturbabile dalle sue ceneri da quarant’anni a questa parte e che è il sistema più comodo per evitare l’apertura di un dibattito politico, quell’esame di coscienza profondo che nel nostro grande piccolo con Quaderni Radicali e Agenzia Radicale dagli anni settanta sollecitiamo.

 

Si dirà che nella realtà deteriorata in cui versa l’Italia di oggi una saggia riforma costituzionale, anche se riuscisse a vedere la luce, verrebbe poi mostrificata nella prassi quotidiana (come è successo con la carta del 1948). Il che è possibile. Ma è altrettanto da tener presente il fatto che una riforma costituzionale dovrebbe nascere  da un dibattito politico di alto spessore prima di tutto morale, da una presa di coscienza della responsabilità di fronte alla quale ci si trova e che non permette di giocare col fuoco.

 

 


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