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02/12/24 ore

Rai, le parole Fazio-se di Gubitosi


  • Luigi O. Rintallo

Intervenendo in proposito alle polemiche sui compensi pattuiti dalla Rai con Fabio Fazio, il direttore generale della RAI Gubitosi ha dichiarato: «Ci sono professionalità, come quella di Fazio ma anche altre, che sono un grande valore per la Rai e per i telespettatori. Fazio peraltro non è un costo per l’azienda, ma una fonte di profitto e garantisce un’informazione trasparente, seria e di altissima qualità».

 

Che il direttore dell’azienda difenda le sue scelte è più che normale; sorprenderebbe il contrario. Ma la vicenda presenta tre ordini di questioni che la dichiarazione di Gubitosi si guarda bene dall’affrontare.

 

In primo luogo, va evidenziato come affermare che la Rai dia un’informazione “seria e di altissima qualità” va fatto rientrare fra i giudizi temerari. La Rai è nata ed ha agito sempre per fare il contrario: disinformare, conculcare la verità e scambiarla con il pluralismo delle opinioni faziose. Fa parte quasi della sua stessa ragione sociale, che la vede strumento del regime partitocratico, impegnato a censurare tutto ciò che quel regime ha provato a mettere in discussione, come insegna ancora il trattamento riservato alle recenti campagne referendarie radicali. E ciò vale, a maggior ragione, anche per il programma condotto da Fazio, che è stato sanzionato dall’Agcom, l’authority delle comunicazioni.

 

Con il suo intervento, inoltre, il direttore evita accuratamente di rispondere nel merito circa l’entità dei versamenti previsti dal contratto. Di ciò si lamenta anche il Codacons che rileva come Gubitosi non abbia così fornito “alcuna risposta ai cittadini che pagano il canone”. Un contratto che, man mano che se ne rendono note le clausole, appare tanto simile a quello che propongono i manager dei calciatori avanti negli anni: prolunga i termini del rapporto allo scopo di ottenere per certo quello che altrimenti sarebbe incerto. Come spiegare altrimenti la decisione di un rinnovo a distanza di oltre nove mesi dalla scadenza?

 

Senza contare che la misura delle cifre in gioco (quasi 100mila euro al mese nei tre anni previsti) solleva comunque più di una perplessità, indipendentemente dal fatto che l’azienda abbia un ritorno positivo dalla trasmissione del programma. Tanto più che in questi tempi di crisi non sembra che ci sia chissà quale corsa da parte dei concorrenti per sottrarre alla Rai alcunché.

 

Vi è, infine, un ultimo aspetto che fa riflettere e che rientra più nell’ambito psico-sociologico, che non economico. È singolare, infatti, che in generale i beneficati di tali contratti provino un grande fastidio quando si rende noto cosa incasseranno, quasi che così facendo si commetta una sorta di lesa maestà.

 

Viene il dubbio che in questo caso la trasparenza gli dispiaccia perché li porrebbe in una condizione contrastante con il loro impegno volto a contrastare ogni forma di privilegio. Si vergognano del loro status economico, anziché esserne orgogliosi. Verrebbe da dire: poveretti.

 

 


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