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12/10/24 ore

Fedez e Vezzoli alla Triennale di Milano 2022. Arte e avanspettacolo


  • Giovanni Lauricella

Il prestigio della Triennale di Milano non ha bisogno del mio giudizio per essere apprezzata, e infatti il successo che ha avuto sin dai primi giorni di apertura ne è stata l’ulteriore convalida.

 

Tra le opere esposte sono emerse per effetto mediatico le due sculture di Francesco Vezzoli  “Il pessimista narcisista o il narcisista pessimista”  che ritraggono il cantante Fedez perché immancabilmente, come si poteva immaginare, hanno scatenato i rumors su un’opera artistica di per sé a mio avviso discutibile.

 

Premetto che ho sempre diffidato degli artisti che vivono di riflesso dei personaggi che ritraggono, perché non si capisce se devono la loro fama a se stessi o ai loro clienti, fatto su cui ci sarebbe da interrogarsi anche in questo caso, perché l’accoppiata Fedez-Vezzoli ha oscurato tutte le altre opere esposte e i rispettivi artisti per la popolarità del cantante. Chiaro esempio di arte spettacolo con soggetto del mondo dello spettacolo, una strada furbesca di successo a tutti i costi e di basso profilo culturale che sa di avanspettacolo.

 

Non sto qui a rimproverare Francesco Vezzoli, perché so che è un artista che già in passato aveva sperimentato il tema della notorietà sfruttando l’immagine dei famosi personaggi politici degli anni ’80 nella mostra Party politics già da me recensita qui in AR.

 

Fu un “quadro”, in questo caso le virgolette sono d’obbligo, politico davvero inquietante, forse avanspettacolo pure questo, che l’artista presentava con foto giganti, evidenziate da massicce e preziose cornici dorate, dei personaggi di potere della prima Repubblica, raffigurati poco prima che questa cadesse sotto la mannaia di Mani Pulite. Sembravano le foto dei gaudenti passeggeri nelle sontuose sale del Titanic  prima del tragico naufragio: Craxi, Demichelis con Moana Pozzi, Andreotti insieme con chi ha fatto il salto della quaglia: Berlusconi e Beppe Grillo, Benigni e Cacciari, poi Pertini e Sandra Milo ecc. ecc.

 

A mio avviso alla Triennale l’ha buttata un po’ pericolosamente sul gioco e sullo scherzo, irridendo chi? Fedez? Così importante? Mah! Ma poi chi se ne frega di Fedez? Scusate, non stiamo al Grande fratello Vip. Vogliamo ridurre le più prestigiose sedi artistiche ad arene di scazzi e pettegolezzi come quelli che trovi su “Chi?” ed altre riviste simili? Certo è che finora il trash dell’avanspettacolo non era stato messo in mostra come alla Triennale di Milano; ma che bisogno c’é di ridurre la più prestigiosa manifestazione artistica milanese a questo basso livello.

 

Eppure non mi sento di accusare Vezzoli di aver esagerato, caso mai e nemmeno tanto il direttore della Triennale Stefano Boeri che l’ha permesso,  perché in fondo non è la prima volta che nell’arte si sorpassano i limiti: ormai è più di un secolo che si procede in questa maniera, tanto che forse ci meraviglieremmo del contrario.

 


 

Si voglia o no, in una maniera o nell’altra si tenta di dare spettacolo, ma così facendo si violenta la gente con uno show che trascura le esigenze culturali a cui sono preposte certe manifestazioni istituzionali.

 

Per farlo bisogna avere potere: per un artista più potere hai e più ti puoi permettere di fare quello che vuoi, proprio perché puoi importi costringendo il fruitore ad assimilare il prodotto, frutto di vanità e raggiro. Dispotismo che crea soggezione spacciata come cultura. Cultura con il conflitto d’interesse esercitata da funzionari addetti al controllo e alla gestione che sono anche artisti insieme, tutto pagato da Pantalone, le tasse del cittadino, un po’ come i magistrati che sono giudici e accusatori insieme ma mai, ovviamente, giudicati per non incorrere nella responsabilità civile, referendum “opportunamente” bocciato nonostante la recente raccolta di firme.

 

Non è un caso che si assiste ad accentramenti di potere da parte di una serie di personaggi che poi danno indicazioni culturali per tutti come avviene a Roma dove l’artista Cesare Maria Pietroiusti, date un’occhiata alla famiglia, è direttore del Palazzo delle Esposizioni con l’incarico del Polo delle Culture Contemporanee e chissà cos’altro. Qui dico di lui, ma se ne potrebbero citare tanti altri, come lo stesso direttore della Triennale, Stefano Boeri, l’architetto delle primule tanto per intenderci, ha palazzi e influenze nell’area milanese dappertutto. Vi ricordate la vecchia campagna ossessiva contro la speculazione edilizia nel neorealismo con le ricorrenti inquadrature dei cantieri edilizi dei casermoni? Dimenticatela. Una famiglia, quella dei Boeri, con il vizio del successo

 

Saremmo pure confortati se sapessimo cosa c’entra Stefano Boeri con l’arte, sembra come la Melandri che è direttore del MAXXI, a pensare le polemiche sugli incarichi e i direttori dei musei nominati senza un bando di concorso non ci si dovrebbe credere. Che c’azzecca diceva  Antonio Di Pietro. Non preoccupatevi: sono “coincidenze”, come ci dice Pinuccio di RAI Scoglio a Striscia la notizia.  Se non è Dynasty, è un singolo personaggio che accentra tutto come il caso di Gian Maria Tosatti, che è unico artista presente alla Biennale di Venezia, che espone alla Bicocca di Milano ed è direttore della Biennale di Roma. Penso che probabilmente se non facesse così quello che fa non sarebbe di giusto peso. Mi scuso della narrazione dell’arte alla Vezzoli anzi alla Party politics, oso dire che il linguaggio artistico è diventato l’ostentazione stessa del potere, ma l’arte? Mettila da parte, come si dice.

 

Come a confermare quello che ho detto, Gian Maria Tosatti rivendica il linguaggio scenografico, quasi a creare una commistione tra arte visuale e teatro, insomma e ci risiamo, fare una mostra vuol dire sempre di più fare spettacolo, saranno i teatri le nuove gallerie?

 

Il che non è nemmeno una novità se si pensa all’Attico o a quello che faceva Pino Pascali quando allestiva le gallerie con installazioni che simulavano il mare con delle vaschette piene d’acqua oppure, in un altro caso, con delle tele con i bozzi acuminati a forma di onde. Probabilmente se Pino Pascali non fosse morto prematuramente a trentadue anni forse ci avrebbe ancora stupito con altri allestimenti.

 

La ricerca di Vezzoli non è la scenografia, ma la pesca nelle derive nell’immaginario collettivo, ed ecco trionfare nella Triennale il viso di Fedez che, se va bene in un video musicale in cui fa smorfie da rapper, non di certo è edificante in quella che dovrebbe essere la rassegna del meglio dell’arte di questi ultimi tre anni. In un tempio della cultura trovare il viso irridente di Fedez fa scadere tutta l’esposizione della Triennale nel ridicolo del trash. A questo punto una bella provocazione poteva essere un mezzo busto di Orietta Berti, che avrebbe dato di più di un cantante tutto sommato di nicchia come Fedez relegato solo alla musica rap, anche se da quando si è sposato con Chiara Ferragni ha avuto più risonanza mediatica: non a caso nel nome della coppia, Ferragnez, ha più spazio il  cognome della moglie, Ferragni.

 

La comicità e lo  scherzo offre parecchi spunti di spettacolarità e non è strano assistere a chi la sfrutta; se non vi basta potrete seguire il furbo Fedez in un imminente programma comico a pagamento su Prime Video ampiamente pubblicizzato che pare sia dove è andata a parare la Triennale, buono come scherzo, no? Vi chiederete perché non ci sarà Vezzoli, forse perché ha già fatto ridere abbastanza e chissà quanto quella volpe di Fedez e della Ferragni che per prima del marito si era fatta fare un ritratto da Vezzoli, da cui tutta la storiella che vi ho raccontato.

 

Insomma, continuando di questo passo, sarà Dagospia la rivista d’arte di riferimento che sicuramente ci farà divertire di più.

 

22 febbraio – 4 aprile 2022
viale Alemagna 6
20121 Milano

 

 


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