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02/12/24 ore

Sebastião Salgado: Amazōnia



di Maurizio Musu

 

Le immagini come le parole hanno bisogno di un tempo indefinito per sedimentarsi negli occhi e nella mente di chi legge e guarda.

 

Un tempo privato che permette all'esperienza appena vissuta di fare capolino nell'intimo dell'umano, dando vita ad un processo fenomenologico polifonico fra "l'io dell'artista" che comunica  con lo spettatore-osservatore.

 

Un dialogo intimo e corale, che fa dell'arte e dell'artista un oggetto/soggetto universale e dello spettatore un unicum.

 

In questa epifania del disvelamento, l'interazione fra le parti diventa, giocoforza, il motore attraverso il quale il processo interattivo, costituito dallo spazio temporale intercorso fra visione e introiezione, agisce.

 

Senza questo spazio, la visione diventa un guardare piatto con consegna un giudizio affrettato.

 


 

E andando Oltre che scopriamo affinità elettive che ci sorprendono, consegnando, alle nostre emozioni, nuovi canali conoscitivi in cui l'estasi del bello si apre in tutte le sue manifestazioni.

 

L'Epifania, appunto, del disvelamento.

 

Parto da questa lunga premessa per raccontare di "Amazōnia" mostra fotografica di Sebastiao Salgado al MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI sec. - di Roma.

 

Ho lasciato che le immagini viste e le parole lette sedimentassero in me prima di cimentarmi nella scrittura.

 

La mostra catapulta lo spettatore, attraverso immagini di rara bellezza, nel cuore dell'Amazōnia, mostrandone vastità e singolarità degli spazi e dei suoi abitanti.

 

Come nello stile del fotografo, il bianco e nero rappresenta il tratto caratteristico delle immagini; un racconto di rara bellezza ed eleganza

 


 

Manca, da questo punto di vista, alla bellezza dell'immagine, la naturalezza dello scatto. Il ritocco, necessario per limare i difetti, diventa, in questo caso, una questione manieristica al punto tale che l'immagine rappresentata quasi perde parte del suo fascino primordiale.

 

Questo non significa che le fotografie esposte siano discutibili per bellezza e rappresentazione, sarebbe un pensiero poco credibile, ma è altrettanto doveroso  esprimere una personale (discutibile?), delusione nel ritrovarsi dinanzi a fotografie eccessivamente elaborate nella loro forma.

 

L'opera nel suo insieme, rappresenta la bellezza e la vastità del Brasile amazzonico; habitat naturali, tribù locali rappresentano il cuore dell'intera opera.

 

Leila Wanick Salgado, moglie dell'artista e curatice della mostra, crea un viaggio strutturato secondo linee guida che dispongono le fotografie con grande attenzione nello spazio espositivo senza delimitarne né la bellezza tanto meno il contenuto rappresentato.

 

Di Jean-Michel Jarre le sonorità, composte per l'occasione, che accompagnano il visitatore per l'intero percorso. L'idea è di riproporre i suoni autentici della foresta.

 

Un effetto sonoro che ben si sposa con le fotografie e lo scenario rappresentato.

 


 

Soffermarsi su una fotografia o su un'altra, proporre un eventuale percorso da seguire sarebbe riduttivo e poco corretto, per questo lasciamo che sia il visitatore a percorrere l'esperienza "Amazōnia" secondo un personale sentimento.

 

Salgado, pone in luce, nelle sue fotografie, l'accento sulle scelte politico/economiche che stanno mettendo in grande difficoltà le biodiversità dell'Amazōnia e i suoi abitanti.

 

Emblematiche le "denunce" riportate nelle didascalie in calce alle immagini.

 

Piccoli angoli illuminati in cui la lettura diventa spiegazione dell'immagine e denuncia sociale.

 

Il richiamo al problema della desertificazione, al disboscamento intensivo e privo di rapporto con quanto ne consegue;  il tema dell'acqua e del suo valore per l'ecosistema, la denuncia contro lo sfruttamento della Natura a favore dei beni materiali danno all'intera mostra un valore aggiunto straordinario.

 

Così l'intero percorso diventa un andare a due in cui l'artista, con il suo linguaggio visivo, conduce oltre l'immagine rappresentata, oltre quella bellezza espressa, dentro quell'occhio che scruta, osserva e poi conferma l'immagine che si desidera fotografare e che rimarrebbe muta nella sua cornice, consegnando loro immagini oltre il contenuto.

 


 

Salgado, chiede al suo interlocutore di non fermarsi al Bello ma di entrare dentro la scatola dell'oggetto, la macchina fotografica, per partecipare prima e condividere poi non solo il soggetto rappresentato ma anche l'intimità dell'occhio che l'immagine vuole rappresentare.

 

In questa duplice connotazione dell'immagine la mostra nel suo insieme declina ogni responsabilità al sé che osserva e contempla la rappresentazione, indicandone non una via da seguire ma un suggerimento di “visione".

 

Sarà compito dello spettatore oltrepassare quel senso esteatico del puro bello per intraprendere un percorso critico che lo oltrepassi.

 

Amazōnia, diventa, per cui,  un messaggio sociale.

 

Una mostra da vedere e rivedere, un'opera che nel suo insieme ci trasporta in una terra bellissima e allo stesso tempo maledetta.

 

Perché quel bello necessita di protezione, cura, attenzione, umanità.

 


 

Sebastião Salgado

Amazônia

a cura di Lélia Wanick Salgado

MAXXI

Museo nazionale delle arti del XXI secolo

ROMA

 

 


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