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05/05/24 ore

Storia, arte e potere in Francofonia di A. Sokurov



di Giovanni A. Cecconi

 

Francofonia. Il Louvre sotto occupazione è un'elegia civile e una riflessione sull'arte: nel suo rapporto col potere, e sul potere dell'arte, nonché sull'importanza delle istituzioni che la tutelano («Uno Stato ha bisogno di un museo per esistere»); è allo stesso tempo un film storico e politico.

 

Francofonia di A. Sokurov stimola a pensare, suscita emozioni, impone reinterpretazioni del presente. Si tratta di un'opera anomala, cui è impossibile attribuire una classificazione di genere. Le immagini (dollies, piani sequenza, immagini di repertorio o costruite come cinegiornali, cinema nel cinema, sovrapposizioni di intreccio narrativo e finzione metaforica) sono illustrate da una voce fuori campo, che rappresenta una guida sicura per lo spettatore, a tratti un po' troppo sentenziosa e assiomatica, questo va detto (Sokurov stesso, nella versione italiana un ispirato Umberto Orsini).

 

Parigi è città aperta dal giugno 1940. Per quattro anni la Francia sarà in parte occupata dai nazisti, e governata dal maresciallo Pétain. Il Louvre è però sgomberato dai previdenti dirigenti nazionali delle belle arti, e i suoi capolavori nei limiti del possibile messi al riparo dalla minaccia della guerra, o dalla barbarie nazista, in sparsi castelli di Francia. L'arte, e dunque la civiltà, è in pericolo e questo filo rosso del film è inizialmente espresso con una scena nella quale un regista (Sokurov) ripreso di spalle dinanzi al suo PC tenta di contattare il capitano di una nave con dei containers (con dentro materiali preziosi proprio del museo parigino), sballottata tra i marrosi, in una sorta di instabile e drammatica comunicazione via internet.

 

Al centro della trama, le due figure chiave, effettivamente vissute: il responsabile dei musei nazionali e della Ecole du Louvre Jacques Jaujard (Louis-Do de Lencquesaing), e il curatore dei musei della Renania e ufficiale nazista, Franz von Wolff Metternich (Benjamin Utzerath), chiamato a occuparsi della gestione e la protezione del patrimonio artistico e monumentale di Francia, anzi, come tiene a precisare, d'Europa. Entrambi, e soprattutto Jaujard, sono allo stesso tempo al servizio di un regime tirannico (Clichy-Terzo Reich), e conservatori dei tesori artistici sotto minaccia in tempi funesti, quelli francesi, ma di tutti. Jaujard, nella realtà, contribuì attivamente alla salvaguardia dei beni del Prado, durante la guerra civile spagnola.

 

Lo studio di Sokurov su questi due personaggi e sulle loro relazioni è anche di fatto una variante del tema (nel quale privato e pubblico si intrecciano inestricabilmente) del servizio sotto il tiranno, della sua legittimità, persino della sua rispettabilità. Dopo i primi incontri, più tesi, tra i due, espressione delle due nazioni francese e tedesca, si svilupperà una forma di collaborazione.

 

Lo stesso Metternich opererà con una qualche sensibilità, in quanto richiamato da Ribbentrop a trasferire i beni francesi in Germania, indugierà a lungo, col pretesto  di motivazioni burocratiche, fino ad essere richiamato per inadempienza agli ordini nel 1942 in patria. Dopo la guerra Jaujard e Metternich avranno un sostanziale riconoscimento dei loro meriti o almeno una riabilitazione.

 

Nemmeno la Francia, in questo quadro, è così innocente, è solo una vittima: non mancano i dubbi sullo slogan repubblicano 'liberté, égalité, fraternité' incarnato da una danzante allegorica Marianna e dunque sulla nostra democrazia 'reale' né, soprattutto, le ironie su Napoleone (che si materializza fuoriuscendo dai quadri che lo rappresentano e non fa altro che vantarsi di avere fatto le guerre solo per nobilitare e arricchire la Francia, mentre fu anch'egli causa di lutti per grandi masse di popolazioni europee e per i russi in particolare).

 

Interessante, per i risvolti che implica, è l'elogio della genesi del Louvre da parte di Sokurov: opera di generazioni e generazioni di re e governanti, consiglieri, architetti, della più diversa formazione e tendenza, sino al Grande Louvre della Piramide voluta e inaugurata da Mitterand negli anni '80 del XX secolo; i musei sono, o dovrebbero essere, il prodotto progressivo di una collettività, di una nazione, senza schermature, ideologie, censure. Tutto è molto complesso, stratificato, sfumato senza essere più contraddittorio di quanto lo sia il mondo.

 

Sokurov si formò a Mosca, come documentarista, negli anni '70, e non ebbe vita facile, subì l'ostracismo della censura e  mancò di appoggi pubblici sino alla fine dell'URSS. Autore di "Moloch" (1999)di "Taurus" (2000), e poi di "Faust" (Leone d'Oro nel 2011), certamente ostile al bolscevismo, non può però fare a meno di rendere omaggio alla eroica vittoria di Stalingrado e ai sacrifici dei russi durante la II guerra mondiale.

 

La sua Russia è tuttavia innanzitutto quella di Tolstoi, e di Cechov (ma pensando a Arca Russa, si direbbe anche di Pietro il Grande), che vengono visti nel letto di morte, e invitati a svegliarsi, per vedere, conoscere quali grandi tragedie siano accadute dopo di loro e da quali tragedie forse il mondo contemporaneo e le generazioni future potranno scampare, appellandosi all'arte e all'umanesimo. L'obiettivo, o  meglio l'augurio, è di evitare l'inabissamento del genere umano.

 

L'arte è universale, unica, individisibile, esprime l'identità e la natura dei popoli in una linea ininterrotta. Sokurov sembra però riferirsi all'arte mediterranea e poi europea, secondo la linea di continuità tra monumenti dei palazzi vicino-orientali, arte greco-romana e cristiana, e poi sino alla produzione europea della pittura rinascimentale e moderna: quella che ha nel ritratto, nella contemplazione e nella rappresentazione dello sguardo umano, una delle sue caratteristiche più tipiche, a differenza dall'iconografia del mondo musulmano che invece ne rifugge. Una lenta arrampicata della macchina da presa lungo la barba, il volto, il copricapo di uno dei monumentali sovrani assiri è straordinaria anche dal punto di vista tecnico, così come è significativo che la scelta di una scultura classica cada sul busto di Seneca, altra figura centrale nel rapporto tra "intellettuali" e potere.

 

Molto ci sarebbe ancora da dire. Molto d'altro scopriremmo rivedendo e riascoltando Francofonia. Può essere forse criticato sul piano stilistico-formale, per una ibridazione mal riuscita tra elementi diversi - teatro, cinéma-verité, documentario, fantastico; può essere forse criticato anche per elementi di contenuto: eurocentrismo russofilo, una certa sentenziosità, l'apparente marginalizzazione dal suo discorso dell'arte non europea, sulla quale non è chiaro quale sia il pensiero dell'autore.

 

Critiche di questo tipo, legittime sebbene qui non condivise, non inficiano la ricchezza di una mirabile riflessione filosofica e storica.

 

Giovanni A. Cecconi

 

 


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