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03/11/24 ore

Piazze romane e porcate artistiche


  • Giovanni Lauricella

Da un po’ di tempo notiamo “il nuovo che avanza”: una frase che era la speranza negli anni ’60, quando si pensava di cambiare tutto e subito, con il risultato dello scontro sociale culminato negli anni di piombo, da cui a malapena tentiamo di uscire nonostante qualche strascico di estradizione ancora in corso.

 

La recente ventata populista ha creato delle novità che si sono tradotte in opere pubbliche di dubbio valore che hanno scatenato l’indignazione della gente e di molti addetti ai lavori. Cito ad esempio l’articolo di Massimiliano Antonelli comparso su Artribune su alcune sculture e in particolare su una gigantesca porchetta in pietra apparsa nell’antico centro storico grazie aPiazze romane, progetto dell’amministrazione capitolina, disapprovazione che mi trova completamente d’accordo.

 

La porchetta a piazza della Malva a Roma, scultura dell’artista Amedeo Longo, fresco d’ accademia non sembra affatto interessante. L’opera ha ricevuto la derisione dei cittadini, al punto che l’artistica porchetta è stata vandalizzata dagli animalisti con la vernice rossa. A tale riguardo, ma in senso diametralmente opposto, ricordo che proprio in un paesino della provincia di Bologna, a Vergato, qualche anno fa fu molto contestata dalla gente del posto una fontana con un gruppo scultoreo di Luigi Ontani, uno degli artisti contemporanei viventi più importanti che abbiamo, con l’intento di farla rimuovere (eppure si parla di uno che ha opere sparse nei più importanti musei del mondo). Devo dire che l’esorcista, pittoresco personaggio del luogo che ha imbrattato di sterco la fontana di Vergato, ha superato Luigi Ontani come performer, in esagerazione. 

 


 

Mentre a Milano il “Dito medio” di Maurizio Cattelan, grande mano di marmo alta dieci metri collocata davanti la prestigiosa sede della Borsa, chiusa eccetto il dito medio ad esprimere il chiaro messaggio grillino del vaffa, nonostante lo sdegno che indubbiamente crea, non si parla affatto di toglierla. “Storica” è stata la statua di Wojtyła, Papa Giovanni Paolo II, realizzata da Oliviero Rainaldi per il Giubileo del 2000, fatta a “porchetta”, così tozza che sembra da farcire, posta strategicamente alla stazione Termini, che offre a chi arriva in treno a Roma il cosiddetto esempio dello stato dell’arte.

 

Io mi riconosco pienamente in quello che dice Massimiliano Antonelli: quelle opere di “Piazze romane” sono un’offesa alla città. Nello stesso tempo peraltro vorrei capirci qualcosa di più. Qual’ è  l’arte da accettare e quale no?

 

 

 

I critici e storici dell’arte, con tanto di cattedre e riconoscimenti vari, con titoli e incarichi di alto livello, gente che scrive in autorevoli riviste e che pubblica a raffica con case editrici compiacenti, perché non si spendono in merito per istruirci con dei libri seri che abbraccino non l’episodio di un fenomeno ma tutta la storia dell’arte del recente periodo? Eppure gli stipendi pagati dai contribuenti sono molto alti come pure i compensi che ricevono dagli artisti per farsi scrivere un piccolo testo, ma forse sono talmente indaffarati a presenziare manifestazioni pubbliche e politiche che non hanno tempo a sufficienza.

 

È mai possibile che in questa mole di scritti che hanno prodotto e nelle innumerevoli conferenze o lectiones magistrales tenute qua e là non hanno mai detto niente di preciso in merito? Come fanno un assessore, un amministratore, un funzionario o uno di noi semplici appassionati d’arte a decidere che cosa va bene e che cosa no? A quali testi si deve rifare? C’è qualche esempio da seguire?

 

Non voglio difendere gli amministratori romani, ma da qualche parte una fonte certa per esprimere dei giudizi ci deve pur essere, altrimenti avremo in futuro tante altre porcate; anzi, questa potrebbe essere la reale lettura della porchetta a piazza della Malva, una scultura dedicata alle porcate artistiche; e vi dico che così proposta sarebbe stata di grande successo culturale, altro che l’elogio simbolico ai panini del popolo romano come intende l’autore.

 

L’auspicio è che questi casi di mala-arte servano a far partire qualche seria iniziativa culturale per risolvere la problematica lacuna che da tanti anni ci attanaglia, ma sono solo illusioni.

 


 

Passando a un argomento più serio, dirò che, a fronte di tanti critici storici dell’arte e accademici, la storia dell’arte contemporanea pare non esista. Da lungo tempo le accademie non hanno un libro di testo ufficiale di storia d’arte contemporanea: sarà perché esistono tanti storici dell’arte?  Ad esempio, nelle università esiste da sempre il testo su cui gli studenti si preparano, e alcuni libri sono istituzionali come le stesse facoltà dove si studiano, nelle accademie no.

 

La storia dell’arte contemporanea, quella che si studia nelle facoltà, non ha nemmeno una data d’inizio certa, perché il confine tra arte moderna e contemporanea è incerto. Di testimonianze storiche ci sono varie versioni una differente dall’altra: la storia è scritta in maniera abbastanza comprensibile sino agli inizi del ’900 mentre dopo la seconda guerra mondiale diventa meno chiara, stranamente complicata e diversa da altri stati come ad esempio gli USA dove alcuni termini che usiamo in Italia non corrispondono, proseguendo nel tempo sino ad arrivare ai giorni nostri man mano si sfalda sino a costringerci ad apprenderla dai cataloghi delle mostre.

 

Insomma, figuriamoci se esiste una storia di tutte le tendenze dell’arte degli ultimi vent’ anni, cioè contemporanea, tema questo che non tratterò oltre per non annoiarvi. Faccio rilevare soltanto come convivono caoticamente le varie pratiche artistiche:  concettuale e street art, arte astratta e fotografia, performance e danza, installazioni e scultura, pittura e land art, tutte contemporanee ma con presupposti conflittuali l’una verso l’altra che si annullano reciprocamente ma che concorrono, non si sa come, disciplinarmente tutte insieme come arte contemporanea. Il paradosso che ha fronte di questo caos c’è il critico, il curatore, ma in base a che?  

 

Eppure le cricche di responsabili che si costituiscono per decidere chi sì e chi no ogni qual volta ci sia un esibizione, biennale o museo da riempire, realizzano il modus vivendi cultural prepotente in atto; in quanto sono loro gli autorevoli rappresentanti della cultura, le manifestazioni si fanno soltanto se vengono coinvolti. Agiscono in branco e se qualcuno muove obiezioni, non ha scampo, perché gli saltano tutti addosso contemporaneamente come i piranha finché la vittima non soccombe. Chi sta nelle commissioni e nei comitati scientifici è di una specie non più umana ma simile alle iene, annidata nelle università e nelle accademie, nei musei e nelle case editrici, nelle sovrintendenze e nelle gallerie, fondazioni e associazioni, sempre pronta ad azzannare chi non è riverente al loro operato.

 

Le loro vittime predilette sono gli artisti che massacrano in quantità industriale: effettivamente se si sommano i diplomati delle scuole d’arte e di tutte le accademie varie di carne da macello ce n’è in abbondanza, pur rimanendo i carnefici sono stranamente simpatici sino a farsi amare dalle vittime. Parentopoli/amantopoli/politicolpoli è il triplice sistema che quando tutto va bene va a favore degli amici degli amici, che troviamo eletti direttori di musei, premiati nelle biennali o con incarichi presso enti o ministeri, prezzolati nei festival e nelle varie kermesse, che rappresentano l’Italia all’estero … i cosiddetti esperti (di cui nella pandemia abbiamo conosciuto nelle passerelle mediatiche gli esponenti del campo medico con tutta la poca chiarezza che hanno creato).

 

Sono personaggi presenti in modo esclusivo nei giornali e nelle riviste, fanno gli opinionisti e spettacolini RAI, documentari e parallelamente pacchetto voto di scambio per il partito di comodo.  Esclusiva che li fa satrapi venerati, suffragata da un “sapere” a loro uso e consumo di cui non c’è nessuna certezza, dispotica posizione di potere che consolidano oltretutto in una spietata dittatura nell’arte. 

 


 

Un esempio per tutti è  stato il grande critico genovese Germano Celant (Genova, 11 settembre 1940 – Milano, 29 aprile 2020), re Mida dell’arte recentemente scomparso, facoltoso padre padrone dell’arte italiana che ha fatto della Fondazione Prada, di sua consulenza, la più ricca collezione al mondo. Pensate che il veliero Luna Rossa all’America’s Cup è una percentuale minima dei capitali Prada, forse nemmeno pari gli introiti del costoso profumo dell’omonimo yacht. Profumo di soldi, olfatto intasato di  ricchezza, piacevoli olezzi di tutti i tipi, non c’è che dire, tutto da sentire.

 

L’Arte Povera di cui Germano Celant si è fatto profeta, negli altri paesi, la vedono come l’americana Minimal Art, sorta molto tempo prima. Per altri storici è lo stesso fenomeno di “invenzione” italiana del pop dopo che in America fu realizzata Flag di Jasper Johns nel 1955 e le altre opere di Robert Rauschenberg, dopo alcuni anni nel 1961 l’osannatissimo Schifano dipinge Koka Kola, riconosciuta come la prima opera pop italiana, anche se complessivamente il pop romano si è sviluppato più tardi. Eppure, stranamente, la Scuola di piazza del Popolo è considerata importante, secondo me è sovrastimata, il pop è americano e basta, tutti gli altri sono personaggi secondari se non marginali.

 

Lo stesso Celant si è guardato bene di scrivere un libro di storia dell’arte che abbracciasse un lungo arco di tempo eccetto uno, guarda caso, quello dedicato alla sua vita di ben ottanta anni, dove ha avuto l’esigenza di elencare le sue mostre, The story of (my) exhibitions. Si direbbe che si sia preoccupato che gli altri lo dimenticassero e che per questo, prima di lasciarci, si sia premurosamente auto-immortalato.

 

L’ultima dimostrazione sullo stato dell’arte l’ha data Tomaso Montanari storico dell’arte conosciuto ai più come opinionista politico, si ho detto bene, opinionista politico, stava in quasi tutti i programmi RAI invitato per l’emergenza COVID, si l’epidemia pandemica, uno degli esperti. Insomma è arrivato con il virus e dopo tanta televisione è stato eletto come rettore dell’università per stranieri di Siena perché ha totalizzato 87% dei voti. Li ha proprio contagiati! Qualche dubbio?        Certamente, quel 13% dei voti rimanenti quando era l’unico candidato in gara, forse un esperto potrebbe spiegarci qualcosa.

 

Ovvio che non ci stanno riferimenti o esempi validi cui rifarsi, perché metterebbe a rischio le carriere e il potere  dei posti di comando degli accademici e luminari della cultura, questi esperti della manipolazione.

 


 

Pertanto, se la porchetta vi ha scandalizzato, tenetevi pronti per altre porcate.

 

 

 


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