Se esaminiamo anche superficialmente le tre indicazioni di Renzi sulle ipotesi di modifica della legge elettorale, notiamo subito che quella che prevede l’adozione del sistema di voto dei sindaci richiederebbe una modifica costituzionale per essere davvero operativa ed efficace e di conseguenza tempi lunghi, che potrebbero sforare oltre il 2015.
Altrimenti darebbe luogo a un cambiamento portatore di altri squilibri. Nel voto comunale, infatti, al secondo turno si sceglie la persona del Sindaco: è un sistema che ha insita in sé l’opzione presidenzialista. Qualora lo si adattasse in senso parlamentare, dirottando il voto degli elettori sulle liste o coalizioni che hanno ottenuto il maggior numero di consensi anziché sui candidati premier, si trasformerebbe in una legge elettorale con premio di maggioranza.
Non proprio il massimo quanto a limpidezza democratica, anche perché potrebbe ricrearsi la stessa situazione del porcellum che fa acquisire quasi i due terzi dei seggi anche con percentuali di partenza al di sotto di un quarto dei consensi. Il fatto che il premio verrebbe acquisito dopo l’espressione del voto nel secondo turno non modifica la forzatura operata: l’elettore, in questo caso, compie una scelta non del tutto libera e spesso di ripiego.
Senza contare che i due turni lasciano inalterato il potere di condizionamento delle formazioni meno votate; che questo possa avvenire in assenza di una indicazione chiara sul futuro capo del governo, concentrerebbe su questo sistema di voto solo una serie di svantaggi: ridotta rappresentatività delle liste-coalizioni vincenti unita a una congenita precarietà dei governi, dovuta a stancanti contrattazioni non compensate dall’elezione diretta del presidente.
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