05/12/25 ore

Immigrati: la lettura adulterata dei media della sentenza della corte UE


  • Luigi O. Rintallo

Come accade con deprecabile frequenza, anche sulla sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea (Cge) a proposito del respingimento degli immigrati ci siamo trovati di fronte a un processo di adulterazione da parte dei media che allontana dalla comprensione del fatto, per proporne invece una lettura che finisce per distorcere il confronto pubblico su un tema di assoluto rilievo come l’equilibrio tra i poteri.

 

Già il modo in cui l’atto della Cge è stato trattato dai media (stampa, tv e web), quasi unanimi nel presentarlo sic et simpliciter come uno “stop” ai rimpatri degli immigrati, risultava fuorviante. A questo si è poi aggiunto l’uso che se ne è fatto dai partiti politici – sia della maggioranza di governo, che dell’opposizione – che concordavano, tuttavia, nel riconoscere nel verdetto espresso la determinazione di voler far prevalere l’istanza giurisdizionale su quella politica, sebbene giudicandola in modo opposto: positivamente da parte delle forze di opposizione e negativamente da quelle di governo.

 

Ma le cose stanno davvero così? Non proprio. Occorre, innanzi tutto, ricordare la ragione per cui si è pronunciata la Corte di Lussemburgo. Due erano le questioni sollevate dai ricorrenti. Si interrogava il tribunale europeo se dai provvedimenti emanati dal governo italiano potesse dipendere l’individuazione dei Paesi sicuri e se quest’ultima fosse esclusa dalla sindacabilità dell’autorità giudiziaria. Nel caso esaminato, inoltre, andava chiarito se potesse considerarsi sicuro un Paese, dove la “sicurezza” – limitatamente a certe categorie di persone – era già stata riconosciuta come non adeguata.

 

Contrariamente a quanto è stato recepito (o fatto percepire) dall’opinione pubblica, il tribunale europeo ha risposto che sono i governi nazionali a stabilire quali siano i Paesi da ritenersi sicuri per il rimpatrio degli immigrati. Solo nel caso della cosiddetta “procedura accelerata”, l’atto di respingimento può essere soggetto al controllo di giurisdizione da parte del magistrato al quale l’immigrato abbia fatto ricorso

 

La sentenza recita, infatti, che al giudice non spetta verificare la fondatezza della “sicurezza” del Paese di reimpatrio, ma solo stabilire la fondatezza dei “gravi motivi” avanzati dall’immigrato respinto per superare “la forma di presunzione relativa di protezione sufficiente nel Paese d’origine”.

 


 

Al di là del “burocratese”, la sentenza di Lussemburgo non fa altro che confermare quanto previsto già nella normativa italiana nel decreto legislativo n. 25 del 2008, secondo il quale il richiedente asilo proveniente da un Paese qualificato come sicuro può far valere “gravi motivi” per i quali lo stesso Paese non può ritenersi sicuro per la sua “personale situazione”.

 

Mentre invece non ha tenuto affatto conto dei motivi di impugnazione promossi dal Tribunale di Roma che ha portato il caso davanti alla Corte di giustizia europea, che pretendevano di disconoscere la validità della qualificazione di “Paese sicuro” indicata dal provvedimento del governo italiano.

 

Il problema vero non è dunque nei pronunciamenti dei tribunali europei, ma nella manipolazione persistente che si opera a livello informativo e politico (e questo ovviamente nella legittimità che ogni soggetto politico ha di avere una propria opinione e interpretazione), allo scopo evidente di forzare in una direzione antitetica al potenziamento democratico e alla salvaguardia del sistema di regole proprie di uno Stato di diritto. 

 

Il trasferimento di quote di potere dalla politica alla giurisdizione rientra, da questo punto di vista, nel più generale processo di indebolimento della democrazia ad opera di un limitato numero di nuclei decisionali, interessati a prescindere dalla politica per soddisfare le proprie mire di supremazia. Una supremazia che è più facile esercitare, qualora al posto della dialettica politica, prevalessero soltanto le istanze giurisdizionali di controllo affidate a un gruppo di “tecnici del diritto”, di certo non meno esposti a ogni forma di condizionamento e seduzione.

 

 


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