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02/05/24 ore

Lo Ior e la Chiesa dei poveri di Papa Francesco


  • Silvio Pergameno

A cadenze ricorrenti anche lo IOR torna agli onori della cronaca, questa volta implicato in un giro di affari partito da un acquisto di fiction da parte della RAI, che presentava interesse anche per gli ambienti vaticani, i quali a loro volta entravano nella vicenda; seguiva poi un complesso giro con emissione di obbligazioni, emesse e cedute e di altre partite finanziarie alla fine delle quali si configurerebbero responsabilità da parte del cardinale Taricisio Bertone, già segretario di stato, con indagini svolte parallelamente sia dal Vaticano che dalle autorità italiane.

 

Confessiamo di non essere particolarmente interessati ai tortuosi percorsi di questo vorticoso avvicendarsi di fatti e a quelle che potranno esserne le conclusioni; qui importa rilevare il contrasto netto che si ravvisa tra un’istituzione ecclesiastica (o meglio di quel che sopravvive, sotto altre forme, del vecchio potere temporale) e la Chiesa dei poveri, soprattutto quando essa si connota sotto le spoglie di un pauperismo ideologico marcato e proposto come ideale (il denaro sterco del diavolo) e una prassi di frequentazione del mondo degli affari, che denota esperienza e disinvoltura.

 

Si dirà: ma papa Francesco sta affrontando il problema in termini concreti, con interventi sempre più incisivi nella struttura istituzionale della Chiesa romana. E questo è senz’altro vero e motiva la sincera considerazione che su queste colonne è stata più volte manifestata nei confronti del nuovo papa, venuto da un altro mondo.

 

Ma ci preme, cogliendo l’occasione offerta dalla cronaca, di formulare un’altra osservazione: per quanti appartengono al mondo del pensiero liberale, se in nessun caso viene professata idolatria alcuna nei confronti del denaro e della finanza, per converso non esiste alcuna propensione a tuffarsi negli slanci ideologici delle altisonanti esecrazioni: il denaro e la finanza, pubblica e privata, sono strumenti indispensabili delle economie evolute, le quali senza di essi sarebbero del tutto inconcepibili.

 

L’insistenza del pensiero liberale nel campo economico – quanto meno del liberalismo più maturo – viene posta sulla necessità di poteri pubblici in grado di correggere le deviazioni legate alla speculazione finanziaria e del cosiddetto turbo capitalismo, oggi dominante al livello mondiale. Con risvolti di particolare rilevanza soprattutto in Europa (Germania compresa),nel cui ambito la frammentazione imperante a causa della persistenza e prevalenza del potere degli stati membri impedisce la formazione di un governo munito della forza, dell’autorevolezza e del prestigio capace di combattere con strumenti adeguati.

 

Papa Francesco sta facendo del bene alla Chiesa, liberandola da legami con il vecchio temporalismo, ma questo non ne fa un personaggio liberale: si sforza di mantenere il contatto con il mondo moderno, secondo la tradizione gesuitica, attraverso il riferimento alla misericordia divina, in una chiave, cioè, compatibile con la dottrina cattolica. Di qui la condanna ideologica del denaro, il rifiuto dei beni del mondo e degli orpelli del potere e l’indicazione della povertà francescana come ideale di vita.

 

Una movenza ecclesiale rivoluzionaria, profondamente innestata nella tradizione cristiana e ricca di echi e riferimenti alla complessità delle interpretazioni del messaggio di Cristo nei primi secoli e di motivi delle eresie medioevali, nonché di riferimenti a quella teologia della liberazione che anima il panorama religioso dell’America latina del nostro tempo, in particolare nella dimensione proprio dell’anticapitalismo.


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