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19/04/24 ore

Pena di morte, il peso della condanna di Ronald Post


  • Andrea Spinelli Barrile

Ronald Post è un uomo 53enne che nel 1983 sparò ed uccise Helen Vantz, una receptionist di un albergo nel nord dell'Ohio, Stati Uniti. Da quel giorno egli vive nel braccio della morte, in attesa di percorrere il miglio verde che dovrebbe portarlo sul lettino del boia, per l'iniezione letale, il prossimo 16 gennaio.

 

Nel sistema penale americano, che usa ed abusa il falso deterrente della pena capitale di fronte ai delitti più diversi, il caso sta facendo discutere per via del peso del condannato: 480 libbre, circa 215 Kg, troppi secondo i suoi avvocati che ravvisano “un rischio sostanziale che ogni tentativo di ucciderlo con un’iniezione letale provochi una grave sofferenza fisica e psicologica per il condannato, con un’esecuzione lunga e difficile”.

 

Per questo motivo gli avvocati di Post hanno depositato presso la corte penale dell'Ohio una richiesta di sospensione della pena, affinché venga permesso al detenuto di raggiungere un peso accettabile e andare incontro al suo destino: un'unica iniezione di Pentobarbital, come vuole la legge dell'Ohio.

 

Post ha tentato, per sua stessa ammissione, di perdere peso: ma per i problemi di logistica della struttura carceraria che lo ospita, per i problemi fisici legati al suo peso e dopo aver sfondato una cyclette, ha compreso che l'esercizio fisico era impraticabile.

 

Non è la prima volta che il peso di un detenuto viene utilizzato dagli avvocati per chiedere la sospensione di pena. Nel 1994 un uomo di 180 chili, Mitchell Rupe, sfuggì all'impiccagione perché il giudice temeva che l'esecuzione si trasformasse in una decapitazione: la condanna a morte si trasformò in ergastolo e Rupe morì in cella nel 2006. Nel 2007, invece, erano occorse due ore per infilare gli aghi nelle vene di Christopher Newton, di 265 chili, poi giustiziato.


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