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18/05/24 ore

‘Ombre del Passato' di Valentina Supino


  • Elena Lattes

Una notizia in prima pagina e un giovane compagno di scompartimento, durante un viaggio in treno, suscitano ricordi dolorosi legati ad un amico di infanzia di dieci anni più grande. È l’incipit di “Ombre del Passato” di Valentina Supino, pubblicato da Aska Edizioni.

 

Psicanalista e psichiatra,  già primario in un ospedale parigino, l’autrice rievoca, partendo da questo semplice e naturale affresco, le vicissitudini e i traumi dell’amico Gigi, suo vicino di casa e, nonostante la notevole differenza di età, il suo migliore, se non unico, compagno di giochi.

 

Cresciuto già in una famiglia non facile, con un padre che, in seguito ad un gravissimo dissesto finanziario, si era chiuso in un mutismo “ostinato” e con una mamma “inacidita dalle frustrazioni quotidiane”, egli rimase profondamente segnato dalle esperienze negative legate al nazifascismo.

 

Nel 1938, infatti, a tredici anni, venne espulso dalla scuola a causa delle leggi razziali, rimanendo progressivamente sempre più isolato dai compagni e dagli amici di un tempo. Successivamente, con l’occupazione tedesca, per sfuggire alle deportazioni, dovette autosegregarsi passando da un nascondiglio ad un altro, finché fu scoperto, arrestato e incarcerato, fortunatamente per poco tempo.

 

 

Riuscì poi a riparare in Svizzera dove venne “rinchiuso in un campo profughi, costretto a dormire in una baracca e ad accontentarsi di un cibo molto diverso da quello a cui era stato abituato, era emarginato dalla vita del paese, trattato come un numero, costretto a lavori umili come pulire i bagni e servire in cucina (…)”. 

 

Dopo un breve soggiorno a Lugano, fu trasferito a Bellinzona, spostamento che andò ad aumentare il suo senso di spaesamento: “La stanchezza di dover sempre ricominciare tutto lo induceva ancor più a lasciarsi andare, a rimanere solo, a rintanarsi. Era stato perseguitato, considerato persona non gradita, impedito di lavorare, di studiare ed ora questo esilio lontano dal mondo nel quale era cresciuto.” 

 

A tutte queste rocambolesche vicende, si aggiunse anche il senso di umiliazione suscitato dall’intraprendenza e dal coraggio della sorella più grande che invece era rimasta in Italia arruolandosi “eroicamente” fra i partigiani.

 

Finita la guerra e tornato a casa, Gigi riuscì a laurearsi, si sposò ed ebbe due figlie, ma ciononostante, altre esperienze negative andarono ad assommarsi fino a rendergli la vita insopportabile.

 

Decine di migliaia di persone che subirono sorti analoghe o perfino di gran lunga peggiori – consideriamo, ad esempio, i sopravvissuti ai campi di sterminio - riuscirono ad affrontare le avversità e a superarle, o quantomeno a convivere con gli effetti nefasti da esse provocati. Gigi, dall’animo particolarmente sensibile e fragile, ne fu invece sopraffatto, trascinandosi da un insuccesso ad un altro. 

 

Non fu il primo e nemmeno l’ultimo, se pensiamo al famoso editore Angelo Fortunato Formiggini che si suicidò nel novembre del 1938 o a Bruno Bettelheim e a Primo Levi; ma anche a chi, meno noto, dopo esser tornato cercò di affogare il suo terribile passato nell’alcol.

 

Le sofferenze di Gigi, divenute esistenziali, si ripercuotono quasi “a cascata” anche sull’autrice che illustra con delicatezza quanto il tempo non sempre e non con tutti riesce ad attenuare i dolori più forti e profondi, ma anzi, li amplifica fino a renderli invalidanti. 

 

La storia narrata dalla Supino è dunque significativa poiché oltre a condividere una vicenda poco conosciuta, evidenzia quanto possono essere nefasti, anche a distanza di anni e addirittura di decenni, provvedimenti di esclusione, reclusione ed emarginazione sia per chi li subisce direttamente sia anche per coloro che sono molto vicini alle vittime.

 

 


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