Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

13/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. La donna delle formiche



La sera di venerdì 9 novembre, e la notte che segue, in un ospedale dell’area nord di Napoli, il “San Giovanni Bosco”, nel reparto di Medicina generale, un’anziana donna del Sri Lanka (era stata ricoverata d’urgenza per un ictus, il 22 ottobre) dopo aver da poco subìto un intervento di tracheotomia, è invasa dalle formiche e giace assopita senza soccorso. Una malata sua vicina ne è impaurita e filma la scena.  

Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come, nel primo canto del “Purgatorio”, Dante chiama la poesia.

  

 

****************************

 

 

 

POESÌ 

di Rino Mele 

 

 

La donna delle formiche

 

Nella stanza n.4 di Medicina Generale del “San Giovanni Bosco”,

le formiche si sono impossessate del corpo

di Thila, del suo volto, la gola

aperta dalla tracheotomia.

Le sei esili zampe, le antenne curiose, il loro muoversi

come a stabilire punti intermedi

sempre nuovi, un frenetico fermarsi e ricominciare.

Sembrano, le formiche, misurare il buio di quel corpo

caduto nel burrone di sgualcite lenzuola,

ne percorrono Il volto, intente a suggere, spostare, trasportare irreali

pulviscoli, si fermano 

davanti a piccole gocce di sudore - vi girano intorno -

come in un cantiere velocemente ordinato.

Nell'artificiale sonno

in cui torpide immagini e ombre

continuano a salirle accanto, Thila è una pietra sospesa, il suo corpo

è lontano, abbandonato, fortunosamente curato dal lavoro

instancabile di queste formiche che ne percorrono le tenebre e la vita.

Succede anche fuori dagli ospedali, e nelle altre

prigioni surreali della nostra esistenza, di essere soli, ma di Thila ora

si prende cura quella sociale grazia

che gli insetti hanno, e ad altra forza a noi sconosciuta

rimanda, come l'onda che pare fermarsi prima di scrosciare sulla rena

mentre un'altra già avanza, sale in alto, s'incurva e

nel cielo per un attimo - azzurra e chiara - appare.

Le formiche sono tutte insieme, divise e vicine, si muovono

senza sforzo, nel necessario avvicinarsi

quasi fino al contatto delle antenne,

sono un sistema totale, niente sfugge al loro spostare, toccare, trascinare,

per proteggere - senza saperlo - quel grande corpo di donna

(dimenticato in un ospedale):

di Thila, quella mattina, erano ancora custodi

quando stavano per diventarne - qualcuno ripulirà in fretta - elemento sacrificale.

Quanta poca distanza tra ospedale e prigione,

c’è la stessa aggressiva paura dei corpi mal custoditi, estranei

come la spina nella mano

(e invece sono come un chiodo nel legno che tiene fermo

e sorregge ciò che pure ha violato).