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26/04/24

Per una crisi virtuosa, Macaluso e l’eredità di Di Vittorio


Categoria: RIMANDI
Pubblicato Venerdì, 15 Marzo 2013 16:00
  • Danilo Di Matteo

Alla fine degli anni ’80 ci fu un doppio errore: quello “di Occhetto di non collocarsi nell’area socialista per sfidare anche Craxi su quel terreno” e quello “di Craxi di non sfidare Occhetto sullo stesso terreno”. “La crisi esistenziale del Partito Socialista e della sinistra ha origine lì, perché l’unica possibilità che quella situazione consentiva era quella di un esame critico della storia del Pci e del Psi, e ognuno avrebbe dovuto farsi carico degli errori dell’altro e non usarli per distruggere l’altro”.

 

È forse la tesi di fondo del libro-intervista di Emanuele Macaluso con Peppino Caldarola. E a chi considera vano, in nome del “nuovo”, il confronto col passato e con le tradizioni politiche e culturali, il vecchio Macaluso a suo modo risponde: “Grande fu per me su questo fronte l’insegnamento di Giuseppe Di Vittorio. Mi colpì il fatto che al congresso della Cgil di Genova, nel 1949, Di Vittorio fece un ragionamento sullo sviluppo e la modernizzazione del Sud, dicendo ai suoi braccianti pugliesi, che avevano ancora salari di fame, di rinunciare ad aumenti di salari se gli agrari si fossero impegnati concretamente a investire nelle migliorie agrarie, modernizzare le campagne e incrementare così l’occupazione”.

 

Il problema vero non è, quindi, quale spazio “concedere” a esempio al sindacato, bensì quale linea esso incarni. Né si possono rincorrere le suggestioni di una democrazia senza partiti. Dando per scontato che i modelli delle forze politiche del dopoguerra non sono oggi proponibili, il problema diventa: a quali soggetti politici dobbiamo ora dare un’anima?

 

Dopo Berlinguer e Natta, i dirigenti del Pci-Pds-Ds hanno commesso due errori strategici, fra loro legati: considerare prioritario il perseguimento di ruoli di governo a discapito della vita del partito, divenuta simile a un deserto; e la personalizzazione estrema dell’impegno pubblico, cedendo a logiche di cordata o, a livello locale, di notabilato (eloquente è una lettera di Macaluso a D’Alema, resa nota per la prima volta e rimasta senza risposta, datata 20 giugno 1995).

 

E a chi sostiene che non avrebbe più senso distinguere fra destra e sinistra, la replica è che “l’ammasso destra-sinistra è solo logica di potere per il potere”: ecco cosa davvero si cela dietro la demagogia e dietro “ismi” ricorrenti quali il qualunquismo e il populismo.

 

Ripercorrendo poi i mesi del governo Dini, l’intervistato propone per certi versi la vicenda di Filippo Mancuso, già procuratore di Roma e ministro della Giustizia in quell’esecutivo, come una metafora. Il Pds presentò contro di lui, che era su posizioni “garantiste”, una mozione personale di sfiducia, inducendolo a “passare con Berlusconi” per rancore e risentimento, pur non essendo affatto un uomo di destra. Un po’ come era accaduto ancor prima a tanti socialisti.

 

Insomma: si tratta di un racconto che, a dispetto del sottotitolo, va assai oltre gli accadimenti della “sinistra dalla Bolognina a oggi” (è interessante una sorta di promemoria proposto in appendice, dal titolo un po’ ironico: “Piccolo dizionario a uso di lettori smemorati o troppo giovani”).

 

Neanche viene sfiorata però, se proprio vogliamo segnalare un neo, la vicenda dell’ipotesi della candidatura di Stefano Rodotà (pure citato come giurista) alla presidenza della Camera nel 1992.

 

Macaluso, riguardo alla situazione odierna, usa termini quali “impressionante” e “preoccupante”, ma il suo è soprattutto un appello alla “crisi virtuosa”, intesa come presa di coscienza dei problemi reali.

 

Emanuele Macaluso con Peppino Caldarola

Politicamente S/corretto – La sinistra dalla Bolognina a oggi nel racconto controcorrente di un protagonista

Dino Audino Editore

 

(Tratto da “Riforma”, settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi – Numero 7, 15 febbraio 2013)

 



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