In un paese mantenuto nel continuo e costante gioco dell’equivoco da parte di una classe politica che è ormai solo il terminale squallido ed inconsistente di corporazioni parassitarie istituzionali, nazionali ed internazionali che fanno la guerra al ribasso su quello che rimane del tessuto sociale; dopo oltre un sessantennio di questo continuo lavorio ai fianchi ed in previsione di un nuovo imminente collasso del sistema paese, oggi gli stessi attori della distruzione e della desertificazione civile tirano le somme e fanno la morale con l’ennesimo imbarazzante “Ora Basta!”. “Non si può andare avanti così”...e sfilano lentamente e più o meno sommessamente sulla passerella ad ore dell’informazione di regime sinto-sindacati, pseudo-industriali, finte e vere minacce di radicalizzazione in chiave autoritaristica di questo immane pubblico e partecipato fallimento generale.
Le bocche degli attori di questa pantomima si riempiono di tentazioni risolutive sulle attribuzioni del fallimento al nostro status di dipendenza dalla spesa pubblica o al fatto che, per mantenere il complicatissimo sistema di equilibrio delle rendite delle numerosissime lobby e corporazioni, questo è il paese dove non si può e non si deve muovere nulla, non deve funzionare niente perché il sistema delle clientele potrebbe uscirne delegittimato.
Fino alla morte civile va tenuta alta la bandiera del paese che non c’è, che non ha mai avuto un identità esterna a quella calcistica e familista una non-comunità in un non agglomerato urbano in una non regione in una non Italia che parla di Europa e di mondo con la leggerezza della stupida incoscienza.
In attesa di una nuova non praticabile soluzione ai problemi che sposti ulteriormente in avanti la data di scadenza del prodotto Italia è amaro constatare che sotto ogni data di scadenza ne troviamo una precedente e che, dalla fine della prima repubblica, dopo il crollo del Muro e la ridefinizione della geopolitica mondiale, l’Italia confine non serviva più a niente, che è morto il suo status internazionale così come le prospettive di crescita civile della sua popolazione.
Dopo l’eliminazione scientifica delle prospettive e dei luoghi del cambiamento non ci si meraviglia che la classe politica tutta sia, in un paese irriformabile, ferma alla partenza e schiava di quel sistema partitocratico che, privo anch’esso di qualsiasi stimolo, va avanti per inerzia allo sfascio.
In questo bel quadro omologante anche chi è contro e vuole essere “altro” finisce, per vizio culturale a mimare le stesse attitudini comportamentali e ad essere o una versione bonsai del regime contro cui si scaglia o ad essere il candidato perfetto, in un ottica da “Mondo Nuovo”, per essere una nuova faccia del regime stesso.
I Radicali, quelli di Pannunzio e di Ernesto Rossi, quelli di Pannella, quelli del divorzio, dell’aborto, quelli del movimento per la liberazione della donna, quelli dell’antiproibizionismo, quelli della giustizia giusta, del nucleare, della fame nel mondo, del rischio Vesuvio..., quelli ci sono? Come fanno a sopravvivere nelle secche putride di questo non-paese morto? È possibile oggi alzare la bandiera dei diritti civili e del rispetto delle regole nel paese della magistratura corporativa e politicizzata, della bassa stampa giustizialista e forcaiola, della destra populista e della sinistra post-comunista?
Molti potrebbero avanzare una frettolosa analisi e affermare rassegnati che forse neanche i radicali sono più i rappresentanti di quella “alterità” al regime che, nella sua avanzata fase di decomposizione, ha fagocitato tutto, ma, prescindendo dalla fondatezza e dall’accuratezza di una siffatta analisi si può comunque sostenere che l’esistenza, la resistenza e la persistenza di quel filone politico culturale prende corpo, se non altro, nei quasi quaranta anni di Quaderni Radicali e nei tredici della Nuova Agenzia Radicale.
In uno delle riunioni del Comitato nazionale di Radicali Italiani si è discusso intorno all’utilità del movimento di Radicali Italiani, avvolti nella semi-delusione e nelle recriminazioni post-campagna referendaria e in attesa del suo dodicesimo congresso, si è alimentato, forse involontariamente, il sottobosco dell’abbandono, del dissenso in attesa che il leader carismatico, ancora unico detentore delle capacità politiche necessarie per orientare il movimento e trasformare le sconfitte, se non in vittorie, in testimonianze, prenda le decisioni del caso e aggiusti il tiro di un movimento politico che, per le capacità ed il livello dello scontro in atto, inevitabilmente non può avere la forza di essere oggi in gioco.
Cosa ha generato questa situazione? Fatto salvo la situazione sommariamente descritta, per cui praticamente tutti i poteri dello stato e la società incivile in ultimo remano contro la cultura di quella sinistra liberale che era ed è, se realizzabile, l’unica via di uscita dalla situazione ampiamente descritta nelle righe precedenti; come mai in questi anni il movimento radicale non è riuscito, se non a prezzi altissimi, ad inserire germi di cambiamento nelle innumerevoli pieghe del regime in modo da creare situazioni terremotanti che generassero altri successi come quelli delle campagne degli anni settanta?
Bisognerebbe cercare di capire quando e come non si è fatto il salto e si è rimasti indietro, o, da un’altra prospettiva, si è saltato troppo lontano e si è persa la via. Proprio dalla fine della stagione degli anni Settanta possiamo partire per cercare, con l’aiuto proprio di quei numeri di Quaderni Radicali che hanno tenuto traccia degli avvenimenti politici, radicali e non, del paese, le ragioni e le modalità di questa lenta ma costante capitolazione e cercare, se esistono, le alternative ancora percorribili per una sinistra liberale o quel che ne rimane.
Dal numero 13 di Quaderni Radicali, pubblicato alla fine del 1981, rileggiamo alcuni stralci di un accorato intervento di Giuseppe Rippa, direttore di questa testata, in occasione di una assemblea precongressuale del Partito radicale a Napoli: gli elementi di riflessione per incominciare a definire la genesi dei nostri problemi di oggi ci sono tutti...
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