Da mercoledì 2 luglio i brogliacci delle intercettazioni dell’inchiesta “mafia e appalti”, svolta a Palermo nei primi mesi del 1992, sono nella disponibilità dei sostituti della Procura di Caltanissetta. Li ha recuperati il GICO della Guardia di Finanza, dopo che nei mesi scorsi i magistrati nisseni avevano ricevuto le bobine che, anziché essere smagnetizzate come ordinato dal pm di Palermo Gioacchino Natoli il 25 giugno 1992, erano invece “riemerse” da un magazzino, facendo così aprire l’indagine di Caltanissetta nei confronti dei magistrati palermitani che la gestirono trentatré anni fa.
Adesso, con le trascrizioni disponibili, i sostituti di Caltanissetta potranno risentire il magistrato Giuseppe Pignatone, nel 1992 responsabile dell’Ufficio intercettazioni, finito sotto inchiesta con il collega Natoli con l’accusa di aver affossato anzitempo l’inchiesta scaturita dal rapporto dei ROS (elaborato dal generale dei Ros Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno), mancando di approfondire le infiltrazioni mafiose del clan Buscemi nelle aziende del Gruppo Ferruzzi. Un collegamento che aveva attirato l’attenzione del procuratore Paolo Borsellino e che, oggi, viene considerato come una delle possibili concause che hanno portato alla sua eliminazione nella strage di Via D’Amelio il 19 luglio 1992.
La mancata esecuzione dell’ordine di distruzione delle intercettazioni non allevia la posizione dei due magistrati palermitani, perché dalle trascrizioni risulterebbe che gli investigatori avevano ben operato individuando i vari interlocutori e riportando parti significative delle loro conversazioni. Molte le domande che sorgono al riguardo, a cominciare dalla motivazione che spinse allora a sottovalutare tutto questo materiale investigativo. Come pure andrebbe spiegato perché si interruppe frettolosamente la prosecuzione delle intercettazioni, che furono per di più limitate a solo pochi numeri.
Di tutta questa vicenda registriamo nell’informazione solo alcuni articoli di cronaca giudiziaria, per lo più in pagine interne, senza che su essa siano puntati i riflettori del cosiddetto giornalismo d’inchiesta. È singolare, tenuto conto che viceversa – sia in tv, sia sulla stampa – grande spazio è stato invece dato a tutt’altre inchieste che, a ben vedere, hanno avuto l’effetto di distrarre su piste senza concreti sbocchi l’attenzione della pubblica opinione.
Dall’indagine sulla presunta trattativa Stato-Mafia alle accuse verso i carabinieri dei ROS, gli stessi cui si deve il rapporto all’origine dell’inchiesta affossata, vi è tutta una sequenza di iniziative giudiziarie, assai amplificate dai media, che oggi appaiono caratterizzate per lo più dalla vanità dei loro esiti.
Indagini giudiziarie e supporti giornalistici sono serviti a imporre una narrazione che ha fatto breccia ovunque e che, ora, pare molto arduo smontare. Cardine di questa narrazione è la convinzione che la mafia rispondesse ai voleri di una “entità” politica superiore (Doppio Stato, servizi ecc. ecc.): una lettura assai lontana da quanto invece sosteneva il magistrato Giovanni Falcone, sicuro che Cosa Nostra fosse del tutto autonoma e che, anzi, i politici fossero piuttosto in una condizione gregaria.
Per certi versi, la vulgata che vuole la mafia esecutrice di ordini esterni fa il paio con la versione di quanti, a lungo in passato, sostenevano la sua inesistenza. Entrambi allontanano dalla piena comprensione degli intrecci di interessi, parassitari e prepotenti, che contraddistinguono il suo operato, così come risulterebbe confermato anche nel caso dell’inchiesta mafia-appalti dove un ruolo decisivo lo gioca il coacervo di limiti umani, calcoli opportunistici e falsificazioni dei vari personaggi coinvolti. Più che trame misteriose o torbidi intrighi politici, la molla che muove l’azione malavitosa sono gli affari nella loro materiale consistenza e interrelazione con gli apparati burocratici.
Non sappiamo di cosa tratteranno le quattro lezioni che il procuratore di Napoli Nicola Gratteri terrà dagli schermi della tv La7. Sappiamo, però, che sarebbe auspicabile compiere un ripensamento sulle conseguenze che la narrazione della mafia impostasi finora sui media ha avuto in termini di efficacia nella lotta contro di essa.