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29/04/24

Turchia e democrazia


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Martedì, 19 Luglio 2016 19:51
  • Silvio Pergameno

Il fallito colpo di stato di avant’ieri in Turchia e per il quale sono stati accusati e arrestati migliaia di militari e di magistrati dimostra che, come accaduto altre volte in passato, anche questa volta una sollevazione per la democrazia è stata animata dai ceti che sempre, a cominciare dalla rivoluzione dei primi anni venti del secolo scorso e poi nei decenni successivi, avevano sostenuto la democrazia nel paese, una democrazia fondata su un laicismo rigoroso, su una cultura di stampo occidentale, sulla sostituzione della legge islamica con codici mutuati dalle democrazie europee, sull’introduzione dell’alfabeto latino…

 

Ma la Turchia restava un paese musulmano. I musulmani rappresentano il 97 e mezzo della popolazione, sono cioè poco meno di 77 milioni, dei quali circa 64 milioni sunniti e poco più di 11 milioni di siiti (alaviti); i non musulmani sono un milione e mezzo o poco più.

 

Il Presidente Erdogan aveva perciò tentato un percorso nuovo, quello di una democrazia in accordo con la cultura musulmana, ma ferma restando l’appartenenza del paese alla NATO e la richiesta di ingresso nella Comunità e poi nell’Unione europea, peraltro rimanendo sempre fuori dalla porta dei palazzi di Bruxelles. È stato un errore fatale questo da parte europea, come sempre abbiamo sostenuto su AR e su QR, perché dopo oltre cinquant’anni di tentativi, la Turchia – pur senza rinunziare al tentativo di entrare in Europa - ha scelto una politica autonoma, cercando Erdogan di costruirsi uno spazio nel tormentato quadro del Medio Oriente e di accelerare – come era fatale – il fervore restaurativo della cultura e della presenza islamica nel paese.

 

Questa tendenza nuova non ha mancato certo di produrre contrasti interni e vere rivolte di piazza in questi ultimi anni e di sollevare le più energiche proteste di militari, magistrati e giornalisti, questi ultimi in particolare colpiti, mentre si creavano i noti attriti con i paesi occidentali e con Israele (che aveva bloccato la nave di Greenpeace diretta a Gaza – Erdogan sosteneva Hamas), con l’Egitto (Erdogan sosteneva Morsi), e con la Russia ( con questi tre ultimi paesi in queste il presidente turco si era comunque riappacificato).

 

Di tutto questo processo, senza dubbio alternante e confuso, comunque, i ribelli dell’altro ieri dovevano comunque farsi carico. Come dovevano contarsi, diciamo così, ed esaminare se ci potevano essere appoggi esterni… ma dall’Europa? E l’accordo con Bruxelles, sollecitato soprattutto da Angela Merkel, per i profughi? E il progetto di Erdogan per dare la cittadinanza ai profughi dalla Siria, che sono circa tre milioni e sono sunniti (tre quarti dei quali poi preferiscono restare in Turchia, cioè oltre due milioni e duecentomila  e solo un quarto tornare in Siria?).

 

 Non si possono poi sottacere altri due aspetti nella complessa vicenda del colpo di stato. Il primo è che il comportamento dei paesi occidentali, il silenzio per ore in attesa di vedere come poteva andare a finire prima di aprire bocca, dimostra che gli occidentali, l’Europa in paricolare (si direbbe anche gli americani) dovevano avere informazioni di intelligence assai sommarie (e qui si apre ancora una volta il famoso capitolo della creazione di un’intelligence europea, per creare un servizio informativo efficiente e che non si perda un’infinità di tempo a spiarsi gli uni con gli altri…).

 

E infine un’altra osservazione che non sembra possa essere sottaciuta. E cioè che sembra veramente che non si passa fare a meno di sottolineare quanto, nonostante l’evidenza dei fatti, le ribellioni armate abbiano fatto il loro tempo; quanto le rivolte con singoli kamikaze o gruppi armati o interi eserciti non approdino ad alcun risultato positivo nella direzione di un avanzamento della democrazia, in particolare poi quando i contrasti si verificano in paesi nei quali esistono già istituzioni democratiche e gli avversari sono nella situazione di dover fare i conti con partiti che hanno vinto le elezioni. E i turchi di oggi non sono più quelli di cento o anche cinquanta anni fa. I numeri contano…

 

Si fosse il presidente Erdogan trovato di fronte ad avversari che non turbavano l’ordine pubblico, che mettevano a repentaglio soltanto la propria vita, che protestavano con i piedi (camminando e magari fermandosi anche ai semafori…), con lo stomaco (vuoto…), con il sedere (per terra…) a migliaia… 

 

 



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