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29/04/24

L’uso politico dell’intercettazione: contropotere al servizio del potere


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Mercoledì, 29 Luglio 2015 18:16
  • Luigi O. Rintallo

A due settimane dalla pubblicazione della “telefonata fantasma” fra Rosario Crocetta e il medico Matteo Tutino, i giornalisti de «L’Espresso» sono stati indagati per falso e calunnia. Il caso ha riaperto in modo eclatante il problema dell’uso delle intercettazioni per scopi estranei alle indagini giudiziarie: nel merito, l’uscita del testo di quella presunta conversazione – per altro a distanza di mesi dalla sua “raccolta” da parte della testata di De Benedetti - è servita più che altro per la battaglia politica interna al PD sulla regione Sicilia.

 

Non è che l’ultimo esempio di quel vero e proprio “mercato” che ha per oggetto documenti processuali e per soggetti politici, magistrati e giornalisti, i cui interessi si intrecciano tra loro rappresentando un’obiettiva minaccia per la tenuta delle libertà democratiche.

 

Da tempo al Parlamento si chiede di intervenire sul tema e in queste ore è in discussione l’ennesimo provvedimento che dovrebbe regolamentare questa difficile materia, ma non vi sono gli auspici che si possa giungere a un esito positivo. Ciò accade perché nella politica italiana manca una chiara consapevolezza del rilievo che dovrebbe avere il rispetto dei diritti individuali, dal momento che vi prevalgono logiche puramente strumentali, per di più inficiate irrimediabilmente dalla cultura emergenziale e corporativa.

 

Lo si riscontra anche nelle recenti dichiarazioni del presidente del Senato, l’ex procuratore di Palermo Pietro Grasso. Per la seconda carica dello Stato, le intercettazioni sono uno strumento “irrinunciabile” che non può essere in alcun modo limitato, comprese le registrazioni delle conversazioni da parte di uno dei presenti. Il problema, secondo Grasso, si pone soltanto per la pubblicazione del contenuto delle intercettazioni, dal momento che è difficile conciliare esigenze contrastanti quali il diritto alla riservatezza, la segretezza delle inchieste e il diritto all’informazione. Va detto che la soluzione indicata da Grasso è quanto mai impervia: pensare a un’udienza filtro che setaccerebbe ciò che è pubblicabile da quello che non lo è, sembra davvero più il frutto di un barocchismo normativo che non di un’azione praticabile ed efficace alla bisogna.

 

Così non si affronta il nodo vero della questione, che non va limitata – come parrebbe sostenere il presidente del Senato – alla deontologia degli “operatori professionali che vengono a conoscenza del contenuto delle intercettazioni”. Per quello basterebbe l’applicazione rigorosa delle norme esistenti e, tutt’al più, la responsabilizzazione del pm promotore dell’inchiesta, che potrebbe passare di mano qualora si verifichino fughe di notizie o qualunque altro tipo di deviazione.

 

Il problema grave consiste nell’uso politico che viene fatto delle documentazioni giudiziarie, comprese le conversazioni private irrilevanti dal punto di vista penale. È chiaro che ciò costituisce un vero e proprio attentato all’esercizio pieno della democrazia, in quanto da un lato mina alle basi le istituzioni colpendo selettivamente i loro esponenti e dall’altro fa venir meno il ruolo dell’informazione come sistema di contro-potere, trasformandola in un “servizio” a disposizione del potere stesso.

 

 



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