La Seconda guerra mondiale fu segnata da un immenso numero di morti, quasi settanta milioni. Termina nel peggiore dei modi, tradendo gli stessi ideali che avevano sostenuto il difficile sacrificio delle vittime.
Per piegare il Giappone, il 6 agosto gli Stati Uniti (il presidente era, da pochi mesi, Truman) con la prima bomba atomica - all'uranio - distruggono in un istante un'intera città, Hiroshima: soltanto tre giorni dopo con una seconda bomba atomica - al plutonio - trasformano un'altra città, Nagasaki, in un deserto.

RINO MELE
Nagasaki, la ripetizione del male
Hiroshima scompare in un bagliore
interminabile
come un naufragio consumato in un istante:
alcuni furono attraversati
da quell'orrore senza morirne, rimasero
fissati come in una fotografia,
chiusi per sempre nell'attimo della
devastazione,
mentre una piaga slargava la loro voce,
e il volto sfuggiva,
pietoso di sé. Avrebbero
voluto allontanarsi
non riconosciuti, nascondersi
al proprio corpo
dal pallore striato
che gridava dai fiumi senza sorgente
l’inudibile voce,
l'imperfezione di sapere
qualcosa in quel doloroso stupore:
gli hibakusha, morti non ancora morti,
usciti dal bagliore irresistibile
del nulla
sentirono subito la colpa
d'essere
vivi nel silenzio
di quello che non potevano dire,
la loro caduta
nel nulla.
Avevano visto scomparire tutto
anche le ombre.
Ebbero cure portentose ma presto
nei lunghi anni dell'occupazione americana
fu vietato
di parlare di quello che
era accaduto, e non dovevano ricordare.
Furono portati in bianchi ospedali,
conobbero il terrore di dover tornare a vivere.
Ci furono sventurati che,
nel giorno dell'apocalisse, appena salvi
dal fuoco di Hiroshima, muti per non ascoltarsi
e non incontrare nella propria voce
gli spiriti della distruzione,
il proprio incancellabile contagio,
si rifugiarono,
come nel sogno più cattivo,
a Nagasaki per ripararsi dalla
ripetizione del male:
e lì, nella bella isola di Kyūshū,
s'illusero d'essere lontani da quella
forza sterminatrice
che già li rapiva.
Ma perché, dopo l'ingiuria di Hiroshima,
gli Stati Uniti vollero,
con strana fretta,
rifare la stessa vergogna su Nagasaki
(come uno spudorato teatro)?
Tra tutti gli animali,
solo l'uomo ripete il male per liberarsene,
renderlo
irriconoscibile, quotidiano, familiare,
perché non gli appartenga più.
Dopo Hiroshima, Nagasaki fu non solo
un folle sperimentare
con una diversa bomba (al plutonio)
la fine immediata di un'altra città - come
non fosse mai stata -
ma anche questo tornare
indietro nello sconfinato ludibrio dell'istante
sottraendo alla morte l'avvertimento
del morire. Uccidere due volte
servì ad attenuare l'angoscia del primo
delitto, rendersi irresponsabili.
Come, al contrario, il piacere aumenta
se ne ritrovo - nella coazione
di cui parla Freud - la figura, nell'allucinazione
del desiderio.
Erano trascorsi tre giorni,
ma non furono quelli della Resurrezione:
nel cielo azzurro di Nagasaki,
il 9 agosto 1945, fu ripetuto il misfatto
dell'istantanea distruzione di
un'intera città. La creazione era stata rifiutata.
_________________________________
Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
Leggi l'intera sequenza di POESÌ