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04/05/24

Venezia 2015. Meno male che c’è Ascanio Celestini a risollevare le sorti italiche. Bene El Clan di Pablo Trapero


Categoria: CINEMA
Pubblicato Martedì, 08 Settembre 2015 21:49

di Vincenzo Basile

 

Viva la sposa di Celestini rianima i tifosi della Nazionale di Cinema, dopo le proiezioni dei primi due concorrenti nostrani, Gaudino e De Maria, che come i giornaloni e la Rai hanno lasciato trapelare nella approssimazione dei rispettivi notiziari, hanno ricevuto consensi non propriamente unanimi. La Sposa del titolo sembra incarnare La Redenzione, agognata dai personaggi di un intreccio di storie di quartiere romano, alle prese con la sopravvivenza stentata delle classi, le solite, più colpite dalla crisi corrente, non solo economica, e non solo italiana.

 

Il clou del plot consiste in un’azione di polizia, come dire...intensa, che ha suscitato tra gli altri un giudizio... a dir poco tranchant, che riportiamo: “Il suo film fa schifo, signor Celestini, glielo diciamo senza averlo visto, senza mai aver fatto gli attori, senza mai aver fatto un minuto di regia o di teatro. Il suo film è orrendamente dozzinale e gli attori che lo interpretano non sanno recitare. Eppure noi non siamo attori… la sua opera, scusi il termine un po’ forte, fa cagare… lei recita come un cane e dietro la macchina da presa fa ancora più pena”. Parola di Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp – Coordinamento per l’indipendenza sindacale delle forze di polizia. “nel suo film, vi sono riferimenti al caso di Giuseppe Uva. Stiamo solo esprimendo un’opinione, disinformata, completamente avulsa da una conoscenza reale ed anche piena di pregiudizi: quindi, secondo i canoni correnti, perfettamente legittima e legittimata a diventare autorevole, basta che faccia comodo… E se riuscissimo a farla dilagare, raggiungendo i canali televisivi mainstream… lei avrebbe la reputazione distrutta e dovrebbe trovarsi un lavoro diverso”.

 

Sorge spontanea la domanda: ma al signor Maccari non è venuto il dubbio che questa sua iniziativa possa tramutarsi, lungi da quanto egli probabilmente si attende, in una formidabile azione propagandistica a vantaggio dell’opera che tanto aborre provocando, come spesso accadde in simili casi, il cosiddetto effetto boomerang? Al botteghino l'estrema sentenza.

 

Per El Clan di Pablo Trapero, ci trasferiamo a  Buenos Aires, inizi anni ottanta: interno di una tipica villetta familiare nel caratteristico quartiere di San Isidro, dove un oscuro clan vive di rapimenti e omicidi. Arquímedes, il patriarca, guida e pianifica le operazioni. Il figlio maggiore Alejandro è una star del rugby e gioca con Los Pumas, mitico team nazionale argentino.

 

 

Contemporaneamente, piegandosi alla volontà del padre, individua i possibili bersagli dei rapimenti, protetto dalla popolarità che lo tiene lontano da ogni sospetto. In varia misura, i membri della famiglia sono tutti complici di queste orrende imprese poiché beneficiano dei grossi riscatti pagati dalle famiglie delle loro vittime. Tratto dalla vera storia della famiglia Puccio, il film, pieno di suspense e intrighi, è ambientato negli ultimi anni della dittatura militare argentina, poco prima del ritorno alla democrazia. Opera esemplare nell'illustrare e approfondire come la Banalità del Male può permea il quotidiano. Pubblico e privato.

 

Cose dell'altro mondo:

 

Su Atmos, dagli abitanti sono geneticamente disattivate tutte le emozioni profonde; amore compreso. Scoppia però un’epidemia di SOS, virus capace di far riemergere sentimenti e sensazioni, che costringe i sieropositivi a una quarantena graduale come  le fasi di evoluzione dell’infezione. Fino al terzo estremo grado, quello in cui bisogna eliminare i pazienti tramite una indolore soppressione. Due di loro, Nia (Kristen Stewart) e Silas (Nicholas Holut) però, violando la legge, si innamorano e decidono di sfidare il destino. Tutto questo è Equals di Drake Doremus: Piatto, noioso, sentimentalmente patetico, chissà se il produttore, Ridley Scott, otterrà lo sperato ritorno al botteghino. Vietato ai maggiori di 14 anni.

 

 

Spotlight è la rubrica più seguita del Boston Globe. Animata da un drappello di cronisti d’assalto è costantemente alla ricerca di patate bollenti da regalare ai suoi lettori. A poche settimane dall’11 settembre, gli arditi indagano sulla diffusissima pedofilia della potente curia americana. La tragedia delle Torri complica inevitabilmente il lavoro della squadra ma l'indagine riuscirà comunque a rivelare gli abusi di ben 250 preti su almeno 1000 vittime accertate, tutte minorenni. Al loro capo, il vescovo Law, sarà inflitta dal Vaticano la severissima condanna al ricollocamento a capo dell'Arcidiocesi di Roma S. Giovanni, notoriamente una delle più prestigiose e potenti al mondo.

 

Peter Mullan firma il meritevole Orphans ovvero come una famiglia della working class scozzese (tre fratelli e una sorella poliomelitica) può lavare i panni sporchi alla vigilia del funerale della madre. I conflitti che si scateneranno tra i quattro, attraverso le più bizzarre e imprevedibili peripezie notturne che li coinvolgeranno, cambierà i loro reciproci rapporti. Ottima prestazione attoriale e sceneggiatura e ritmo più che sostenuto.

 

Marguerite di Xavier Giannoli.  All’esordio dei ruggenti anni venti, nella campagna parigina, la ricca ereditiera Marguerite (Catherine Frot, già Cuoca del Presidente-2013) vive sposata al povero ma titolato barone Dumont (il misuratissimo André Marcon). La sua passione-ossessione è il canto lirico e per darvi seguito organizza serate di beneficienza per esibirsi davanti a un pubblico di amici e melomani, impegnati nell’ipocrita adulazione delle sue stonatissime interpretazioni, col solo intento di prendersi gioco della donna. Uno di loro, un giornalista giovane e opportunista, scrive su di lei un articolo esageratamente elogiativo che fa colpo sulla sua vanità e la spinge a tentare il grande passo: il concerto alla presenza di un autentico pubblico pagante.

 

La sapiente regia di Xavier Giannoli, la coralità del cast, l’accuratezza della ricostruzione storica dello sfondo culturale, sociale e politico dell’epoca, le musiche e soprattutto la sceneggiatura (tratta dalla storia vera dell’americana Florence Foster sulla quale, nel frattempo, anche Meryl Streep sta meditando di scendere in campo) rendono questo melò unico nella capacità di mescolare i temi dell’ambizione sfrenata e dell’adulazione del potere, dell’ipocrisia utilitaristica e della rapacità determinata dal bisogno e dai compromessi, la passione smodata e il calcolo più abbietto ma anche gli infiniti stratagemmi che l’amore riesce a inventare per conquistare il suo oggetto. Raccomandato ai romantici di ogni età e classe sociale.

 

 

In  Francofonia Aleksandr Sokurov, con il pretesto di raccontare la storia del Louvre e della complicità dell’allora suo direttore Jacques Jaudiard con il Conte-Ufficiale tedesco Franz Wolff-Metternic (i due che insieme evitarono il saccheggio dei suoi tesori durante l’occupazione nazista) si interroga sullo stato culturale e politico dell’Europa, sui troppi errori delle sue classi dirigenti, sulla sua identità multiforme ma sempre più evanescente e sull’importanza e il senso profondo dell’Arte per l’umanità e per la sua storia. Nonostante l’influenza del Rossellini documentarista e pedagogo, dell’ultima lezione di Godard (Adieu au Language-2014), l'autore russo non riesce però a sfiorare il pregio della sua indimenticabile Arca Russa (2002) dedicata all’Ermitage, né tanto meno il felice risultato del suo penultimo lavoro (Faust, Leone d’Oro 2012).

 

Si tratta comunque di un'opera notevole per gli interrogativi che pone e gli imperativi che ne scaturiscono dato che: "dai politici non arriva nessuna vera risposta, non le sanno dare o, forse, non le hanno mai sapute dare".  Una nave carica di containers zeppi di capolavori continua la sua rotta sballottata dalla tempesta, in pieno oceano, verso il nulla. E’, sarà l’Europa?

 

Jacques Tourneur Le Médium (Filmer l’invisible)

 

C’è un “mistero Jacques Tourneur” spiega il regista Alain Mazars. Come si spiega l'interesse nel mondo invisibile e nel soprannaturale da parte di un regista che tuttavia è molto ancorato alla realtà? Quando, in un’intervista, Tourneur affermò “Molti vivono nella paura, ma non lo sanno”, non si sarebbe forse potuto sospettare che anche lui, malgrado l’apparente serenità del suo carattere e comportamento, vivesse in questa paura permanente e che i suoi film fossero un modo per esorcizzarla?

 

 

Oltre a essere un ritratto di Jacques Tourneur attraverso i suoi film, questo documentario è un’indagine sull’ispirazione profonda del cineasta, mediante la testimonianza della gente di Cinema che si è appassionata alla sua opera. Sofisticato più di Hitchcock nel presentare la dimensione intimista dell’orrore ma anche l’ambiguità delle apparenze, il sottile confine tra naturale e sovrannaturale ("il soprannaturale è nella carne" affermava ), un modello di donna insieme frigida e felina, un femminile di una bellezza raggelante, le qualità invisibili del reale. Pur avendo tenuto a battesimo la carriera di Gregory Peck e quella di Robert Mitchum, spesso sacrificato dagli esigui budget a produrre B movies, è riuscito a creare opere che hanno ridefinito il cinema fantastico, influenzando profondamente quello moderno e contemporaneo. Martin Scorsese, lo Steven Spielberg de “Lo Squalo” e Michael Haneke sono solo i più noti tra quelli che gli devono qualcosa.

 

Rabin, The last day

 

In tempi di estremismo "cosiddetto" islamico, il film di Amos Gitai obbliga alla riflessione su un tema oltremodo complesso e oltre alla puntuale ricostruzione degli eventi e dell’inchiesta che ne conseguì, apre ai sentimenti generati da quella vicenda.

 

 

Una seconda riflessione, tra le molte possibili, non è a sua volta eludibile. Sono le immagini a evocarla. Quelle  in cui gli estremisti della destra religiosa ordiscono e scatenano una fatwa, una specie di maledizione annientatrice, nei confronti del Rodef (il traditore), nel caso Rabin, nemico a loro avviso dello Stato Ebraico in quanto colpevole di aver voluto e portato avati gli accordi di Oslo; di avere cioè nella sostanza, consegnato il suo popolo al nemico. In conferenza stampa, dopo aver chiesto ai partecipanti un minuto di silenzio per commemorare le vittime dell'infinito conflitto israelo-palestinese, ci tiene a precisare: “Non ci fu cospirazione, ma incitazione alla destabilizzazione verso un leader eletto democraticamente di cui non ho voluto mitizzare alcunché”.

 

“La commissione Shamgar aveva un mandato giuridicamente limitato e poté solo rilevare le falle nel sistema di protezione durante quella tragica sera in piazza dei Re d’Israele a Tel Aviv. Uno dei tre giudici spiega, proprio alla fine del film, che dopo quelle tre pallottole il destino di Israele è mutato in modo irrimediabile”.

 

Alla proiezione in Sala grande, quella adibita alle premiazioni, era presente questa sera l’ex presidente Giorgio Napolitano che non ha mancato di congratularsi con il regista israeliano.

 

Tutt'altra musica, luci e atmosfere fuori dalle sale di  proiezione

 

Da quest’anno, le selfies addicts più scatenate hanno preso l’abitudine di trascorrere la lunga attesa pomeridiana della sfilata sul red carpet, sdraiate su delle apposite tovaglie, quasi una seconda spiaggia a ridosso della principale. Cosa non si tenta per una foto con Johnny Depp, il più forte e caloroso boato di entusiasmo finora registrato. Il divo ha sfoggiato un bel pò di chili in più ma anche la nuova zazzera latero-destra penzolante sull’occhio. Dedicata alle fans. A chi se no?

 

- Venezia 2015: Mostra Internazionale del Cinema, arriva il restauro integrale del miglior Welles. Quattro i registi italiani in concorso di V.B.

 

 



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