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28/03/24

Il caso UNAR: chi ha incastrato Francesco Spano?


Categoria: STILE LIBERO
Pubblicato Venerdì, 24 Febbraio 2017 15:09

di Gianni Carbotti Camillo Maffia

 

La versione ufficiale è quella che Palazzo Chigi avrebbe finanziato orge gay tramite l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR). Questo ovviamente è falso: viviamo in un paese che ha sempre esercitato il controllo sociale in modo autoritario e repressivo sin dai tempi di Bava Beccaris, quindi possiamo escludere che oggi improvvisamente decida di dare sostegno economico ai piaceri dell'eros per distrarre il popolo – tantomeno quello omosessuale: siamo lontani dai decadenti fasti carnascialeschi dell'Impero ed anzi sembra ogni giorno d'assistere al suicidio d'un Gracco.

 

Ma la notizia ormai è passata, anche in virtù dell'immaginario godereccio. Prendiamo ad esempio il titolo del quotidiano Libero: "La Boschi sculaccia chi dà soldi pubblici per far godere i gay". Tutti gli studenti che lo hanno letto sono esonerati dall'ora di educazione sessuale.

 

Si tratta di una storia che nasce da un servizio de Le Iene. L'intervistatore bracca il direttore Francesco Spano, dimissionario in seguito allo scandalo: ci sarebbe un'associazione, tale ANDDOS, i cui circoli sono collegati a locali; e all'interno di questi si consumerebbero orge e prostituzione. Fonte: segnalazione anonima. L'ente in questione è accreditato presso UNAR ed è stato programmato un finanziamento a un progetto che ha presentato, non ancora stanziato.

 

Il colloquio col direttore dura poco, anche perché è lui stesso ad agitarsi e a chiudere bruscamente la conversazione; il servizio prosegue con scene che ricordano drammaticamente i “balletti verdi” negli anni Sessanta. Dopo qualche ripresa con la telecamera nascosta di omosessuali che fanno battute a doppio senso sui circoli culturali, si passa subito alla carne viva: scene filmate all'interno delle dark room nei locali gay, con scarsa censura e il commento della “iena” in sottofondo, che si lancia in uno sproloquio fatto di giochi di parole e battutacce sul sesso fra omosessuali che sembrano uscite dal film Philadelphia con Tom Hanks e Denzel Washington. L'atmosfera si fa tanto goliardica che ci s'aspetterebbe un finale alla Aristofane o à la Moliere, magari con qualche malcapitato omosessuale in fuga da una gragnuola di mazzate; e invece la catarsi si raggiunge col più mozzafiato dei colpi di scena: Spano è iscritto all'ANDDOS, e il capolavoro da manuale giornalistico lascia intendere che sotto sotto è un pochino gay pure lui.

 

Apriti cielo: le conseguenze sono quelle che avete appreso tutti dalle prime pagine dei principali quotidiani, che anziché notare le sinistre analogie con le dinamiche con cui si consumò la Notte dei Lunghi Coltelli spingono sull'elemento sessuale esasperandone il grottesco e rimuovendone il sano e gaudente volto panico.

 

Se tale approfondimento culturale, da parte delle Iene, avesse voluto mettere in luce quanto retrograda, bigotta, barbara e incivile sia la prospettiva generalista nei confronti delle persone LGBT, ci sarebbe riuscito senz'altro e sarebbe stato davvero impagabile in termini di denuncia sociale. Purtroppo l'obiettivo era un altro, e per capirlo conviene riassumere rapidamente i fatti. Nel 2012 l'UNAR conta 13 dipendenti e vanta un direttore onesto e competente che non guarda in faccia nessuno, di nome Massimiliano Monnanni. L'organo è già controverso, perché dovrebbe occuparsi di discriminazioni razziali ma è in seno al governo, dunque ha di fatto le mani legate e non risulta che le inchieste aperte dall'ufficio abbiano mai condotto a grossi risultati in termini di tutela dei diritti umani: ma Monnanni si era saputo destreggiare ed era riuscito ad ottenere non pochi successi a livello nazionale ed europeo.

 

Chiaramente questo piglio irrita mortalmente una serie di forze politiche che hanno fatto della discriminazione il loro cavallo di battaglia, sia essa fondata sull'etnia o sul genere; e per ben comprendere il clima in cui l'UNAR si fa strada sotto la valida egida di Monnanni non si può neppure dimenticare che sono gli anni in cui il conflitto interno al centrodestra matura fino all'irreparabile, consumandosi anche sul fronte dei diritti umani e civili – ma non sarà nulla rispetto all'arrivo del governo successivo: quello Monti.

 

Ricordiamo che si tratta dello stesso esecutivo che a parole s'opponeva alla “emergenza nomadi” e nei fatti sporgeva ricorso contro la sentenza del Consiglio di Stato che ne aveva decretato l'illegittimità; ed è col cuore ricolmo di terrore che ci accingiamo a rompere il più innominabile dei tabù, quello per cui certi compagni tanto di destra che di sinistra sarebbero pronti a passare a vie di fatto: ci sono stati più passi avanti nelle pari opportunità quando era ministro Mara Carfagna che in seguito. Abbiamo tenuto dentro di noi questo innominabile segreto fino ad oggi, ma come in un racconto di H.P. Lovecraft finiremmo con l'impazzire se non lo rivelassimo: la ragione è atterrita, si ribella, quasi ne muore, ma non può che prendere atto degli eventi, soprattutto quelli che seguiranno.

 

Improvvisamente infatti, nell'estate dello stesso anno, il governo Monti licenzia Monnanni (restano celebri le lacrime dell'uomo che aveva davvero buttato il sangue per fare qualcosa di valido di quell'ufficio) e il personale passa da 13 dipendenti a 4. Tutto sembra perduto, ma la sinistra torna al governo e come in un film fantasy il mondo, un attimo prima nel caos, rientra nell'era felice dei diritti umani, quasi le incredibili avventure d'un magico anello avessero consentito alla schiatta degli attivisti a libro-paga la liberazione dalle crudeli catene della decenza: sono gli anni in cui il fronte unico corporativo del capitalismo clientelare nel terzo settore ha modo di cementarsi e sarebbe sul punto di ottenere il monopolio assoluto, se non fosse per le associazioni come ANDDOS, quelle che sono nate da una costola dei capitani d'industria della sensibilità sociale e si sono portate via centinaia di migliaia d'iscritti.

 

Nulla da eccepire in un sistema di libero mercato: se ANDDOS è competitiva, si ritrova a fare concorrenza alle associazioni più grosse. Ma noi non viviamo in un sistema di libero mercato, bensì di capitalismo clientelare e questo concetto si applica in modo particolare al terzo settore, dov'è veramente difficile quantificare i risultati in termini progettuali, il rapporto tra la domanda e l'offerta o tra l'investimento profuso e gli obiettivi raggiunti.

 

In questa nebulosità l'elemento clientelare diventa predominante: un'associazione non è buona se riesce a garantire l'inclusione effettiva di duecento immigrati, ma se ha un buon rapporto coi partiti al governo, con i media, con i gruppi finanziari che fanno i prestiti e quelli imprenditoriali che fanno da sponsor. Perciò quando una piccola impresa, perché è di questo che stiamo parlando, si mette a fare concorrenza, non essendoci il libero mercato in qualche modo questa subisce la reazione, gli anticorpi del fronte unico corporativo: in un mondo come quello associazionistico che è quasi interamente asservito al clientelismo politico, non può essere altrimenti.

 

Al successore di Monnanni Marco De Giorgi, che anziché fare passi indietro sui diritti di genere nonostante gli attacchi del fondamentalismo cattolico ha insistito in quella direzione e ha concesso l'accreditamento, fra gli altri, alla stessa ANDDOS, subentra proprio Spano, che comincia subito a comportarsi in modo fastidiosamente liberale. Innanzitutto, si permette di trattare alla pari le associazioni accreditate presso UNAR, fatto inedito e assolutamente inaccettabile in quanto su dieci enti riconosciuti solamente due o tre fanno parte del fronte unico, mentre gli altri galleggiano in una inesistente libera concorrenza all'interno della quale non piglieranno mai un euro di finanziamento pubblico che deve andare tutto ai leader del settore: ma Spano è testardo, si siede a parlare con tutti; si presenta un'associazione che magari non è manco accreditata e lui le dà appuntamento, allarga il tavolo, piglia la seggiola e la fa sedere.

 

Nel mondo dell'associazionismo si mormora e il nervosismo cresce, ma poi i pesci grossi se la fanno passare: che li facesse pure sguazzare, i pesci piccoli, tanto quando arriva l'ora di pranzo il mangime ce lo pigliamo tutto noi. Spano però è evidentemente digiuno del concetto di “capitalismo clientelare” e all'ora di pranzo fa l'errore più grosso della sua vita: getta il mangime pure ad ANDDOS. Naturalmente non si tratta d'un finanziamento all'associazione, perché l'UNAR non finanzia le associazioni: i fondi sono previsti per un progetto specifico che ANDDOS ha presentato e che risponde ai criteri e ai parametri con cui l'ufficio concede il sostegno economico necessario. Ma dare 55.000 euro – bruscolini, rispetto alle cifre di finanziamento pubblico divorate dai pesci grossi, senza contare poltrone istituzionali, fondi privati, agevolazioni fiscali e chi più ne ha più ne metta – a un'associazione apostata del corporativismo socialmente empatico equivale a firmare la propria condanna a morte.

 

Si vuol forse con questo insinuare che Spano è stato incastrato? Non ci permetteremmo mai. Si vuol forse con questo affermare che il servizio televisivo sia capitato ad orologeria? Ci mancherebbe, negare le coincidenze significa ignorare i più basilari meccanismi dell'universo. Allora si vuol forse suggerire che la segnalazione anonima...

 

Assolutamente no. Ci si limita ad affrescare il contesto in cui matura lo scandalo, cui andrebbe forse aggiunto un ultimo particolare, che si può porre unicamente in forma di domanda: siamo certi che quanto avvenuto nei locali collegati ai circoli ANDDOS succeda solo e unicamente lì? Siamo sicuri che non vi siano altri posti connessi a diverse associazioni in cui si consumano vicende analoghe, se non identiche? E soprattutto, siamo veramente incrollabili nella nostra fede nel fatto che il confine tra profit e non-profit sia labile unicamente dalle parti di ANDDOS? Perché le contraddizioni, certamente, ci sono: in generale, non è accettabile che associazioni che possono contare su qualsivoglia forma di sostegno economico privato abbiano accesso a finanziamenti pubblici laddove i termini per l'accreditamento presso UNAR restringono il cerchio agli enti non-profit.

 

Ma è davvero bizzarro che soltanto adesso, e solo quando la questione riguarda Spano e ANDDOS, ci si renda conto della labilità di questo confine. È davvero difficile credere che nessuno dei giornalisti con la schiena dritta che in questi giorni insinuavano l'omosessualità di Spano (manco fosse Oscar Wilde) sia mai entrato in un locale in cui è necessaria la tessera del circolo culturale.

 

E di tutti questi circoli forse quelli che più sono giustificati sono proprio quelli per i diritti LGBT, perché se ci sono tanti omosessuali che scelgono il sesso nei locali è anche e soprattutto perché vivono l'essere gay come una cosa nascosta, occulta, da sfogar lontano dalla luce del sole; e lì l'associazione, magari con opuscoli sulle malattie infettive e confezioni di preservativi, se è presente fa il suo dovere – certamente ha più ragion d'essere di tutti quei “circoli ricreativi” collegati a locali dove si fa musica dal vivo e serate da discoteca che sono poi immediatamente riconducibili a enormi associazioni “no profit” altrettanto accreditate presso UNAR e ben più beneficiate dal finanziamento pubblico a livello nazionale e locale.

 

Tutti questi dettagli, evidentemente, a Le Iene sono sfuggiti. Si potrebbe qui tornare a riflettere sul capitalismo clientelare e applicare certe considerazioni ai media, alla commistione tra i vari fronti corporativi; sul modello che vede la stampa appesa al finanziamento pubblico all'editoria e ai fondi di una cerchia ristretta di soggetti finanziari e imprenditoriali: sull'impatto che questo ha su libertà d'informazione, democrazia, pluralismo, diritto di cronaca... Ma d'altro canto, anche ai migliori giornalisti può capitare di distrarsi, e non c'è da rimproverare il programma di Italia 1 se tutte queste contraddizioni non le ha notate.

 

Oppure ha fatto una scelta stilistica: quella di limitarsi a mostrare una distesa di culi nel tentativo di convincere lo spettatore che tale profluvio di natiche abbia una valenza sociale. Sia chiaro: chi scrive non intende togliere un'oncia della potenzialità politica, sociale e culturale di cui il culo è capace; e non dimentica la drammaticità dell'urlo proletario di libertà delle natiche nei film di Pasolini, né tantomeno il modo in cui la sequela di chiappe in Paprika di Tinto Brass, dietro la nostalgica rievocazione delle case chiuse, poneva la questione sociale della incolumità delle sex workers - senza arrivare alla provocazione estrema dei deretani iconoclasti di matrice sadiana.

 

In un Paese in cui sono i partiti a nominare i parlamentari, nessuno può permettersi di negare a un culo la capacità di porre un problema politico: ma non è il caso dei sederi filmati da Le Iene, peraltro inaccettabilmente pixellati, che vengon meno alla basilare regola del fondoschiena: o lo si mostra o lo si copre. Alla fine della fiera, è sempre un culo, non basta dargli una mano di bianco perché diventi una staccionata. L'obiettivo politico di tale assembramento polemico di posteriori è invece quello di riscuotere l'immediata indignazione del telespettatore, il quale pretende di decidere in che modo ciascuno di noi debba utilizzare il proprio didietro; ed è proprio questo che ci disturba, perché se uno non è padrone neppure del proprio paniere è completamente inutile alzarsi in piedi per i propri diritti: non si può più nemmeno star seduti!

 

Resta il fatto che il direttore dell'UNAR, alla fine, s'è dovuto dimettere. Il fronte anti-UNAR esulta: gli estremisti xenofobi ne invocano la chiusura, i fondamentalisti cattolici gridano allo scandalo e vogliono la rimozione del contrasto all'omofobia dagli obiettivi dell'ufficio governativo. Il fronte corporativo esulta ancora di più: Spano se n'è andato, ANDDOS è finita al centro dello scandalo e presto sarà nominato un nuovo direttore che avrà senza dubbio imparato molto dall'esempio del suo predecessore. Torneranno a esserci due tipi di associazioni accreditate: quelle che prendono i finanziamenti per i progetti e hanno peso politico-mediatico, da un lato; dall'altro, tutte le altre, cui è concesso giusto di andarsi a sedere a qualche tavolo amministrativo dove contano come il due di picche.

 

Gli omosessuali continueranno a incontrarsi nelle dark-room, i ghetti del sesso il cui volume d'affari, proprio come avviene per i campi nomadi, deve restare nelle mani dei grandi imprenditori dell'assistenzialismo, che spesso sono gli stessi che si occupano dei rom, degli immigrati, dei richiedenti asilo. La testa di Spano è già stata conficcata su una metaforica picca a monito imperituro, affinché il primo giorno in cui il nuovo direttore metterà piede nel suo ufficio possa prendere in prestito i versi del poeta e dirgli: Gentile o Giudeo/O tu che giri la ruota e guardi sopravvento,/Considera Phlebas, che un tempo fu bello, e alto come te.

 

 



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