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26/04/24

#JeSuisGomorra?


Categoria: STILE LIBERO
Pubblicato Domenica, 25 Gennaio 2015 19:14

A distrarci dagli episodi di Parigi che sembravano averci fatto uscire dai nostri "selfie" quotidiani, al punto che le bacheche dei social network hanno iniziato a riempirsi di matite colorate e parole come "Islam", "jihad", "servizi segreti", "libertà di informazione", è bastata una nuova app per smartphone, che permette di girare video-selfie in playback e il cui motto è «il modo divertente di comunicare».

 

Si chiama Dubsmash il nuovo fenomeno virale, in cui l’utente gioca a muovere le labbra in sincrono con le voci pre-registrate dei suoi personaggi cult, fra i quali i nuovi protagonisti della serie Tv "Gomorra".

 

Avevamo da poco scoperto lo slang dei nostri adolescenti, scherzoso e a tratti creativo, fatto di sigle e neologismi, ma di fronte a frasi come «Sulo p’ ’o tiemp’ ca me staje facenn perdere... Je t'avessa spara’ mmocca» (trad.: "solo per il tempo che mi stai facendo perdere, dovrei spararti in bocca"), un semplice "scialla" appare obsoleto e démodé.

 

Del resto la "Camorromania", più che la già riconosciuta "Gomorromania", aveva finito per contagiare anche gli adulti, tra cui alcuni noti giocatori del Parma apparsi, la scorsa estate, in un video contenente citazioni tratte dalla stessa serie televisiva.

 

Dunque, siamo passati dallo sbandierare quotidianamente, a partire da quel 7 gennaio, i valori liberali della nostra società e a manifestare uno spiccato spirito solidale per le vittime degli integralismi - condensando tutto ciò nella frase "Io sono Charlie" - al trarre godimento ludico dalla simulazione di frasi o gesti ispirati al mondo della criminalità organizzata.

 

Altro che "Charlie", i nostri adolescenti "sono" Salvatore Conte e Pietro Savastano, ma solo per gioco, si sa: nulla a che vedere con i video agghiaccianti postati dai siti vicini ai terroristi islamici, nel quale vengono mostrati bambini che, con una bambola, replicano le scene delle esecuzioni reali

 

Resta da capire la natura del divertimento rispetto ai personaggi di Gomorra, i quali non sono affatto ridicolizzati, né ridicolizzanti. Dietro questa particolare attenzione da parte del pubblico giovane, c’è una forte fascinazione esercitata dai boss della serie televisiva, che sono, sì, degli assassini spietati, ma a volte persino saggi e "francescani", per cui una frase come «L’omm che pò ffa a mmen ‘e tutt’ cose, nun tene paur’ ‘e niente» (trad. "L’uomo che può fare a meno di tutto, non teme nulla") può divenire un vero e proprio motto personale.

 

Per quanto gli autori di "Gomorra" stigmatizzino la possibilità dell’eroicizzazione, sappiamo che, rispetto a quest’ultima, le ambiguità  non rappresentano un deterrente, anzi…

 

Ambigua è, ad esempio, Giuditta, l’eroina biblica a un tempo casta e seduttrice, devota e assassina, chiamata in prima linea per la "nobile" impresa di uccidere Oloferne, il nemico pagano e lussurioso, nel nome del dio ebraico.

 

E, a proposito di prodotti seriali, un’opera che ebbe un così vasto successo da essere fin da subito replicata in almeno 30 varianti, è la "Giuditta con la testa di Oloferne" di Cristofano Allori.

 

Nel dipinto dell’artista fiorentino - datato 1612 ca.- l’immagine pacata e compiaciuta della protagonista - a differenza delle interpretazioni caravaggesche - incarna l’idea di "violenza liberatrice" e rispecchia la rinnovata capacità di conquista della Chiesa cattolica in epoca controriformista, pur anticipando di secoli la versione più "laica" del soggetto in questione, ovvero la femme fatale di fine XIX secolo.

 

Infatti, è l’autore stesso del dipinto che, autoritraendosi nel generale assiro decapitato, si lascia soggiogare dalla bellezza salvifica/mortifera della sua Giuditta, ovvero l’amante Maria di Giovanni Mazzafirri, una cortigiana per la quale il pittore "perse la testa". Di fronte a un certo "esibizionismo" quasi da "selfie" dell’eroina raffigurata, colpisce, tra l’altro, la presenza passiva della serva, la quale osserva in un angolo con un’aria di incertezza.

 

Quasi un’indifferenza, paragonabile a quella di chi assiste o è compresente a eventi tragici di cui non sa riconoscere la gravità, ma ne fa un mezzo per un fatuo divertimento, complice l’appiattimento di cui i media sanno cospargere ogni cosa.

 

Piera Scognamiglio

(https://arteincausa.wordpress.com/)

 

 



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