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19/04/24

Presunto innocente o quasi colpevole?


Categoria: RIMANDI
Pubblicato Giovedì, 18 Settembre 2014 03:01

di Fabio Viglione (Quaderni Radicali n. 105 - giugno 2010)

 

Nel nostro Paese, molto frequentemente, le inchieste giudiziarie a prescindere dai risultati ai quali approdano, vengono accompagnate – nel corso dell’accertamento – da clamore mediatico e dal dispiegarsi di una molteplicita di effetti che colpiscono il cittadino chiamato a difendersi da un’accusa. Ovviamente, sono effetti che si sviluppano fuori dal processo ed in assenza del sistema di regole proprio dell’accertamento giurisdizionale. Viene cosi ad affiancarsi ad una serena verifica giurisdizionale che si svolge nella propria sede naturale, una multiforme ramificazione di relazioni, spesso parallele, tra il cittadino e l’accusa.

 

Cosi, molte delle energie dell’accusato finiscono, inevitabilmente, per essere impiegate per fronteggiare la rappresentazione esterna dell’accusa: dal vicino di casa – dallo sguardo sospettoso – al piu seguito degli approfondimenti televisivi – che viviseziona l’accusa con strumenti spesso originali ed avveniristici.

 

Naturalmente, per le inchieste "beneficiate" dalla sovraesposizione al grande pubblico, l’attenzione e inversamente proporzionale alla decisivita ed alla completezza dell’accertamento: l’inizio dell’inchiesta suscita clamore, la conclusione del giudizio, il vero e proprio accertamento, e vissuto in sordina se non completamente sotto silenzio.

 

Dunque, c’e una partita (non meno decisiva) che si gioca, per l’accusato, lontano dall’aula giudiziaria, ben prima delle risposte definitive fornite dal (e nel) processo. Cosi, la semplificazione di una ipotesi d’accusa trasforma il sospetto in certezza: e il trionfo del processo sommario.

 

Gli effetti di tale distorsione li tocca con mano il cittadino ogni qualvolta viene chiamato a rispondere di una ipotesi d’accusa, sin dalle fasi preliminari del procedimento. Non e infrequente registrare, ad esempio, a seguito della notizia dell’avvio di una inchiesta, tutta una serie di preclusioni o interruzioni di progettualita professionali.

 

L’accusato non e piu il medesimo cittadino: il suo profilo cede il passo a quello di un colpevole da cui guardarsi con attenzione e dal quale prendere debite distanze. In realta molti dei piu profondi effetti indesiderati ed iniqui di questo accidentato itinerario potrebbero affievolirsi – se non proprio cessare – se l’impianto culturale individuale e collettivo possedesse gli anticorpi giusti per consentire agli accertamenti giudiziari di svolgersi approfonditamente e al cittadino, chiamato a difendersi, di continuare ad essere se stesso, senza dover indossare in ogni sede i panni del colpevole "a prescindere".

 

Un efficace antidoto per fronteggiare al meglio tali effetti distorsivi non puo non rinvenirsi nell’assimilazione autentica – non solo proclamata – del principio di non colpevolezza. Un principio che nel nostro Paese affonda le proprie antiche radici nelle analisi illuminate presenti nelle opere, tra gli altri, di Cesare Beccaria e che la Costituzione ha recepito nel proprio patrimonio storico culturale. Sembrerebbe dunque perfettamente idoneo il ricorso alla presunzione di non colpevolezza per scongiurare i rischi dei citati fenomeni distorsivi. In realta, molto frequentemente, tale principio finisce per diventare pleonastico e tanto scontato e banale da essere, di fatto, dimenticato proprio nel momento in cui dovrebbe essere utilizzato con autentica convinzione.

 

Cosi, tale regola di giudizio chiamata ad operare sempre e nei confronti di tutti, ancorche stabilmente collocata nell’ordinamento, finisce per trasformarsi in una silente supposizione di segno contrario. Si determina, infatti, una sorta di automatico e surreale ribaltamento dagli effetti devastanti. Effetti, questi ultimi, idonei a creare quel perverso piano parallelo di sommarieta nella adesione all’accusa a piu livelli. Spesso e sufficiente l’inizio di una indagine nei confronti di un cittadino per creare nell’ambiente circostante la presunzione – in alcuni casi inconscia – di colpevolezza e, per l’effetto, un giudizio sommario sulla moralita del malcapitato.

 

Tale atteggiamento, spesso inconfessato, finisce per partorire effetti aberranti, in alcuni casi maggiormente evidenti con riferimento ai cittadini chiamati a rivestire cariche pubbliche. In molti casi, infatti, a prescindere dall’esito del giudizio, le sorti della persona chiamata a difendersi da una ipotesi d’accusa appaiono segnate. Si materializza, come d’incanto, una sorta di ribaltamento del principio stabilito dall’articolo 27 della Costituzione. L'imputato, che non dovrebbge "essere considerato ncolpevole sino alla condanna definitiva",si trasforma in un cittadino che, raggiunto da un’inchiesta, viene considerato colpevole sino alla eventuale sentenza di assoluzione.

 

Conseguentemente, anche in ragione dei tempi della giustizia, tutt’altro che celeri, il binario parallelo di incidenza negativa per l’accusato, devastante nell’ambito delle sue relazioni sociali e quotidiane, finisce per sovrapporsi e prevalere.

 

A queste condizioni, paradossalmente, l’esito finale del giudizio celebrato nelle sedi competenti, finisce per essere vissuto come evento periferico, quasi sullo sfondo. Cio in quanto, molti degli effetti piu insidiosi ed invasivi per il cittadino accusato si sono gia registrati ben prima dell’accertamento e sono, per la maggior parte, irreparabili ed ineliminabili.

 

Per certi versi, anche il rapporto tra giustizia e politica e, piu specificamente, l’incidenza delle inchieste giudiziarie nelle scelte della politica riflettono questa criticità. Il parametro di non colpevolezza, ancorche costituzionalmente riconosciuto, viene utilizzato con sempre maggiore parsimonia ed intermittenza. Cosi, di frequente, anche il dibattito politico risente profondamente proprio di una inconfessata ritrosia ad affrontare in modo netto il portato culturale frutto della adesione al principio di non colpevolezza, con ogni fisiologica conseguenza.

 

Ed ecco che la patente di "indagato" spesso puo essere sufficiente a far guadagnare al cittadino chiamato a difendersi in un processo la certificazione di "colpevole" precludendogli cosi ogni prospettiva. Non sara certo un’eventuale sentenza di assoluzione a risarcire il cittadino del "terreno perduto" se, come accade frequentemente, quel pronunciamento interviene ad anni di distanza dall’inizio dell’accertamento. Tanto, in particolare, se prima dell’epilogo processuale tutta una serie di penalizzazioni sono state gia inflitte all’accusato fuori dalle aule giudiziarie.

 

E' dunque tra l’inizio dell’accertamento giurisdizionale ed il suo epilogo che si gioca la partita dell’approccio culturale corretto. Proprio in questa fase di incertezza si misura il tasso di autenticita e condivisione del principio piu volte richiamato. Recentemente, e stato approvato anche un "codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive" (maggio 2009) proprio allo scopo di scongiurare il verificarsi dei principali effetti distorsivi.

 

Tuttavia, la questione non puo ridursi al rispetto formale di un principio, peraltro già stabilito dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dell’intero impianto normativo. Ne, tanto meno, alla osservanza di regole poste a garanzia di una corretta informazione che, naturalmente, sono certamente importanti e positive, in un settore tanto delicato.

 

Credo che la presunzione di non colpevolezza, per sortire gli effetti piu utili non solo all’accusato ma anche alla comunita e piu in generale al sistema di regole, debba essere avvertita innanzitutto nella sensibilita, nella coscienza, nel patrimonio culturale di ciascuno. Forse il problema piu evidente risiede proprio qui. Se davvero la presunzione di non colpevolezza appartenesse ad una autentica cultura individuale e collettiva, non assisteremmo con frequenza a proclami tanto sommari, frutto di un’implicita negazione delle garanzie insite nella regola di giudizio.

 

Se fosse connaturato al nostro comune sentire il parametro di giudizio di non colpevolezza sino all’accertamento, si eviterebbero speculazioni di ogni sorta legate ad una verifica giudiziaria tanto piu serena quanto piu distante da fenomeni di evocazione, spesso caricaturale, delle proprie risultanze. La richiamata "presunzione" dovrebbe essere vissuta come costante regola di giudizio in un corretto rapporto tra la notizia di un’accusa e l’adesione disinvolta al portato di una tesi investigativa, ancorche autorevole e suggestiva.

 

Ed allora, solo mettendo al centro con rinnovata condivisione quel principio spesso rivendicato ma poco praticato, sara possibile evitare che l’accusato, prima di subire un processo che gli consenta di difendersi dall’imputazione, venga irrimediabilmente messo all’angolo, confinato nell’angustia di un inconfessato pregiudizio culturale.

 

da Quaderni Radicali n. 105 (giugno 2010)

 



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