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19/04/24

Angelo Panebianco: La nuova difesa e i vecchi pacifismi


Categoria: RASSEGNA WEB
Pubblicato Martedì, 22 Marzo 2022 12:46

di Angelo Panebianco 

* (da Corriere della Sera 21/3/2022)

 

I fondamentalisti contestano l’idea che l’equilibrio dipenda da rapporti di forza fra gli Stati e rifiutano perfino la difesa

 

Comunque si concluda la guerra di aggressione in Ucraina, l’Europa si avvia verso il riarmo (anche l’Italia si è impegnata a incrementare le spese militari). La difesa europea cessa di essere l’idea un po’ velleitaria di un tempo, sta per diventare un fatto. Quasi certamente ciò alimenterà in Europa forme di protesta che si diranno ispirate al pacifismo e che avranno di mira i nuovi «guerrafondai».

 

 Come tali verranno bollati i fautori della costruzione della gamba europea della Nato, della necessità di creare un forte potere deterrente al fine di «contenere» la Russia, di frustrarne aggressività e ambizioni imperiali. I segnali si sono già manifestati: dalla cosiddetta «equidistanza» (né... né) alla opposizione di alcuni — pochi ma forse non del tutto isolati nella pubblica opinione — all’invio di armi ai resistenti ucraini.

 

Poiché avremo a che fare a lungo con queste cose, sarà bene cercare di chiarirsi le idee. Per cominciare occorre distinguere il desiderio di pace, che è una aspirazione delle persone dotate di senno, dal pacifismo che invece è un’ideologia. Il desiderio di pace è sempre stato presente nella storia umana.Tolti i fanatici e gli esaltati nonché tutti quelli che, a vario titolo, guadagnano (gloria o soldi) dai conflitti armati, gli altri esseri umani hanno sempre avuto orrore della guerra, hanno sperato di vivere in pace.

 

Ma se la pace è una aspirazione diffusa e perenne, il pacifismo è un’invenzione recente. È uno dei frutti dell’Illuminismo la concezione che il pacifismo ha fatto propria: la pace non più intesa solo come una condizione nella quale le armi tacciono (la cosiddetta «pace negativa») ma come l’espressione di un’organizzazione sociale e politica che dalla pace trae alimento e anche, in una certa misura, legittimità.

 

La diffusione del pacifismo in Europa sarà incentivata dalla contestuale azione di due fattori: la democratizzazione delle società europee che darà voce a tanti che in precedenza erano solo vittime silenziose e inermi delle avventure belliche e l’industrializzazione della guerra che è la causa principale delle grandi carneficine della Prima e della Seconda guerra mondiale.

 

Possiamo distinguere due forme di pacifismo, ispirate, ciascuna, a un diverso ideale di società: il pacifismo pragmatico e il pacifismo assoluto o fondamentalista.

 

Il pacifismo pragmatico è proprio delle società aperte o libere. Esse preferiscono la pace alla guerra perché la pace favorisce insieme benessere e libertà individuale. La guerra mette a rischio entrambe e ne mina quindi i fondamenti. Ma poiché nella politica internazionale la forza pesa più del diritto, anche le società libere, per sopravvivere, devono contare sulla forza, i principi liberali devono venire a patti con le regole della politica di potenza.

 

Senza la sconfitta di Hitler prima e senza la capacità degli Stati Uniti, durante la Guerra fredda, di contrastare, con la propria forza politica e militare, l’Unione Sovietica, una potenza totalitaria, la società libera occidentale sarebbe già finita da un pezzo. Checché ne pensino i nostalgici del comunismo, la Nato non è il «braccio militare dell’imperialismo yankee». È un’alleanza difensiva. 

 

Non se ne fa parte per aggredire altri Stati ma per difendersi dalle aggressioni altrui.

 

Ciò non toglie che non manchino, quando si tratta di pace e guerra, gli abbagli ideologici. Un classico (e antico) abbaglio della società libera è quello di credere che il libero scambio, il commercio, e la conseguente interdipendenza economica e finanziaria, possano da soli, in assenza di altre condizioni, garantire la pace anche con le potenze autoritarie. Ciò spiega perché, nel periodo in cui Putin consolidava il suo potere autocratico in Russia, in Occidente si commettesse l’errore di pensare che ad assicurare la pace sarebbe bastata l’interdipendenza economica fra la Federazione russa e il nostro mondo.

 

Il pacifismo fondamentalista è di altra pasta. È armato di una antropologia positiva (l’uomo è buono per natura anche se può essere corrotto da istituzioni corrotte) e dalla conseguente convinzione che le asimmetrie di potere e l’esercizio del potere siano accidenti della storia anziché condizioni ineliminabili della vicenda umana. Diffida (quando non le è apertamente ostile) della società libera, la quale si regge sull’idea che gli abusi di potere possono essere evitati o attenuati solo se vari centri di potere si bilanciano e si controllano.

 

Così come non crede che la libertà delle persone sia assicurata da una particolare disposizione dei rapporti di forza all’interno della società, il pacifismo fondamentalista contesta l’idea che la pace dipenda dai rapporti di forza fra gli Stati. Da qui un rifiuto assoluto della guerra, anche di quella difensiva.

 

Lasciamo da parte i finti pacifisti per i quali il pacifismo è solo un pretesto per combattere la società occidentale. Consideriamo il pacifismo fondamentalista, diciamo così, nella sua purezza. Si basa su due idee entrambe campate in aria.

 

La prima è che basti decidere di non avere nemici perché i nemici non ci siano. Ma siccome il nemico prima o poi arriva lo stesso, in barba a ciò che pensano i pacifisti fondamentalisti, il loro rifiuto della guerra difensiva non lascia altra possibilità che la resa, la sottomissione.

 

La seconda idea campata in aria discende dalla prima. I fondamentalisti pensano che la pace dipenda solo dalla buona volontà. Se provi a spiegare loro che la pace dipende invece dai rapporti di forza, e che per garantirla devi disporre di un potere deterrente che tenga a bada i potenziali aggressori, essi ti accusano di essere un «militarista» e un guerrafondaio.

 

L’inconsistenza dei loro principi li porta sempre, lo capiscano o no, a fare il gioco degli aggressori di ogni risma. Siccome spesso citano Gandhi va detto che il Mahatma non era né uno sciocco né uno sprovveduto. Sapeva che la strategia non violenta da lui posta al servizio della causa dell’indipendenza indiana era in grado di fare breccia nell’opinione pubblica britannica e che ciò, condizionando il governo (democratico) di Sua Maestà, poteva dargli il successo. Ma comprendeva che contro Hitler servivano gli eserciti.

 

Tutti vogliamo la pace. Ma dobbiamo sapere che per tenere a bada il violento di turno (il quale arriva sempre prima o poi) non basta la buona volontà. Occorre anche avere a portata di mano un robusto bastone.

 

* da Corriere della Sera (21/3/2022)

 

 



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