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20/04/24

Roma e il mistero della delibera per l'inclusione dei Rom: intervista a Francesca Danese


Categoria: POLITICA
Pubblicato Martedì, 28 Marzo 2017 18:16

di Gianni Carbotti e Camillo Maffia

 

Mentre imperversano le critiche sul piano nomadi della giunta Raggi, in pochi sanno che l'ex assessore Francesca Danese, in carica per meno di un anno nel corso del breve e cupo crepuscolo dell'amministrazione Marino, aveva prodotto l'unica delibera conforme alle direttive europee e agli impegni che l'Italia si era assunta con la ratifica della Strategia nazionale d'inclusione per Rom, Sinti e Caminanti.

 

Purtroppo due giorni dopo la stesura della bozza la giunta cadde; ma quel che è più strano è il modo in cui da allora tutti, dai successori alle redini del Comune alle majorette del terzo settore che sventolano progetti dipinti come conformi al documento (e tutt'altro che tali), fino all'opposizione incluso lo stesso PD che aveva nominato la Danese, facciano finta che quella bozza di delibera non sia mai esistita e che il lavoro dell'assessora sia stato solo un sogno angoscioso da cui i miliziani della solidarietà si sono risvegliati madidi di sudore. Che Francesca Danese avesse toccato degli interessi è cosa nota, tanto che finì sotto scorta.

 

Ma perché Francesco Paolo Tronca non ha proseguito il lavoro dell'assessora, tanto più che lo scandalo riguardava proprio i campi nomadi? Preferì riesumare una memoria di giunta risalente all'epoca in cui Marino s'era appena insediato. E gli onesti pentastellati attualmente in carica? Perché hanno elaborato un piano nomadi in palese violazione delle direttive europee, rischiando la procedura d'infrazione?

 

Ma soprattutto, chi aveva interesse a togliere di mezzo la Danese dalle politiche sociali e in primis dai campi nomadi fin dai giorni in cui era in carica? Ne parliamo direttamente con Francesca Danese, assessora alle politiche sociali durante l'autunno lacerato e spettrale della giunta Marino.

 

Nel corso del suo assessorato lei ha prodotto l'unica bozza di delibera nella storia della Capitale che fosse effettivamente conforme alle direttive della Strategia d'inclusione nazionale per Rom, Sinti e Caminanti: purtroppo non vide mai la luce perché la Giunta cadde poco dopo la stesura. Cosa pensa del fatto che quel documento non sia mai stato ripreso dalle amministrazioni successive?

 

Credo che nel periodo del commissariamento con Tronca si sia trattato di una decisione fortemente politica: forse aspettavano i politici. Poi, siccome sono una persona che crede nelle istituzioni, ho immediatamente passato tutto il lavoro all'assessora che è venuta dopo di me: tutto il lavoro in itinere, la memoria di quello che avevo fatto. Lo trovavo legittimo e corretto. All'interno di quella delibera si teneva conto della complessità di Roma e dei suoi municipi: non a caso prevedevamo l'istituzione di commissioni anche a livello territoriale. Facevo un lavoro certosino coi municipi che è indispensabile, altrimenti la città non si governa.

 

Quella delibera è certamente ascrivibile alla sua opposizione verso la visione del “sociale” che ha condotto allo scandalo internazionale, tanto che lei è finita sotto scorta dopo pochi mesi dalla sua nomina ad assessore. In che situazione si trova adesso? E' ancora sotto protezione?

 

No, in questo momento no, ma non parlo tanto volentieri di quello che mi è successo perché ci sono cose che ancora stanno seguendo. Comunque, tra le questioni che ho toccato c'è anche la questione dei Rom. Direi che nella gestione dei Rom, Sinti e Caminanti il fallimento più grande in Italia è che non ci sia stata la possibilità di far nascere una cosiddetta emancipazione dai vari capiclan, anzitutto per le donne, i ragazzi. La cosa che mi porto dentro col più grande rimpianto è la creazione di tre cooperative gestite al femminile: sarebbe stata una bella rivincita.

 

Una continuo a seguirla, perché continuo a stare nel mio mondo. Sono stata prestata alla mia città per soli dieci mesi, malgrado la fatica e tutte le complessità. Sulle politiche abitative ricordo che ho avuto il coraggio - anche se poi alla fine neanche questo è stato detto a tutti –, laddove una famiglia aveva diritto a una casa popolare, di ribadire che anche se Rom era suo diritto. La politica è fatta di scelte. Io ero un tecnico prestato alla città: ho servito la mia città, sono arrivata purtroppo fino a un certo punto perché poi sapete com'è andata la storia.

 

Case popolari, azioni di microcredito che hanno concesso a diverse persone di uscire dalla marginalizzazione: eppure nessuno ne sa niente.

 

C'è anche un'altra vicenda che mi va ora di raccontare perché avevamo quasi concluso e questo lo dico con grande dispiacere. Avevamo fatto diversi incontri con la Romania: col governo, con imprenditori italiani che hanno messo su attività di terziario avanzato, ma anche fabbriche, per far sì che le persone presenti in Italia che avessero avuto voglia di tornare in Romania potessero farlo debitamente formati. Quindi c'era questo scambio di formazione in Italia per tornare in Romania, perché poi pochi sanno che non tutti assolutamente vogliono stare nei campi.

 

Ci sono progetti migratori diversi, per esempio molti di quelli che sono negli insediamenti vogliono ritornare a casa, costruirsi un'abitazione e io per quelli avevo fatto un lavoro importante. Dovevamo siglare quasi un accordo. Io anche tutte queste cose ho lasciato, tutti gli incontri fatti con l'ambasciata per riuscire a fare un lavoro insieme. Sarebbe stato importante permettere alle persone che ne avevano voglia di tornare in Romania formate e gli imprenditori erano disponibili ad assumerle.

 

Era una strategia a trecentosessanta gradi e soprattutto uscivano dai campi anche le donne. Io ho trovato che ancora troppo spesso ci sono cosiddetti capiclan (perdonatemi questo termine) che gestiscono a volte anche le famiglie dei bambini che devono andare a scuola.

 

Al di là dei capiclan e della criminalità organizzata, avveniva un tentativo di togliere dalle sue competenze la questione Rom con un colpo di mano amministrativo che avrebbe sottratto i campi nomadi all'assessorato Politiche sociali per collocarli sotto l'egida di un ufficio di scopo dipendente solo dal sindaco. Parliamo del progetto pubblicizzato come “Accogliamoci”, che tra pochi giorni sarà discusso dal Comune di Roma. Gli interessi della delinquenza nel rimuoverla dal suo incarico sono chiari, ma perché secondo lei una parte del terzo settore voleva toglierla di mezzo proprio sui campi nomadi dopo lo scandalo? Quali interessi c'erano?

 

Questo bisognerebbe chiederlo a loro. Io il mio coraggio ce l'ho messo tutto. Bisognerebbe chiederlo a loro, rimando la domanda al mittente: sarebbe interessante capire quali erano i desideri. Io non ho mai creduto ad un uomo solo al comando, tant'è che la delibera che stavo costruendo con le associazioni e con gli assessori municipali prevedeva un Tavolo in ciascun municipio con le rappresentanze, perché tu non puoi costruire un cambiamento se le persone direttamente interessate non sono nel Tavolo in cui si decide insieme, ci si confronta, si costruisce. In questo modo invece mi sembra si vada anzitutto contro le direttive e in seconda battuta non si rispettano le persone. Io non lo tollero, non fa parte della mia biografia, della mia storia. Credo fortemente che le persone debbano essere coinvolte nei processi che le riguardano per migliorare la loro vita.

 

Per concludere, un commento sul piano nomadi attuale, quello della giunta Raggi.

 

Rilevo proprio questa differenza, che per me è sostanziale. Potremmo ancora una volta essere bacchettati dall'Unione Europea. Per esempio, quando il Comune si doveva costituire in seguito alla condanna per il campo de La Barbuta io dissi: “No, non possiamo dire che abbiamo ragione noi. Ci sono dei problemi, Roma è in ritardo, Roma ha sbagliato una serie di cose”. Coerentemente. Certo, potevo fare di più, volevo fare di più ma non ne ho avuto il tempo.

 

Manca un altro fatto importante: l'alleanza con le altre città metropolitane. Quando si lavora su questi temi è fondamentale essere alleati con le altre città, porre le questioni in seno all'ANCI in maniera più forte e anche avere una trattativa col governo. Costruii un'alleanza con Milano, Torino e Napoli. Con Napoli ci sentivamo quasi tutti i giorni proprio perché c'era bisogno di trovare una soluzione e di trovarla insieme.

 

I numeri che hanno tirato fuori mi sembrano fortemente sottostimati rispetto ai numeri che avevo io. Forse noi abbiamo contato anche quelli che stavano negli insediamenti che di volta in volta vengono spostati, ma comunque è una presenza che c'è in città, di cui non puoi non tener conto. La Strategia va fatta: la delibera, quelle erano le basi. Mi sembra oggi le cose siano molto diverse. Io parto da quelle basi: dà subito l'idea che siamo su posizioni un po' diverse.

 

 



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