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25/04/24

Nessun vero Piano di Ripresa senza una profonda riforma della giustizia


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Martedì, 27 Aprile 2021 17:37
  • Luigi O. Rintallo

Nella giornata di lunedì 26 aprile, il presidente del Consiglio ha illustrato alla Camera il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Predisporre gli interventi necessari per la sua applicazione rappresenta la principale mission del governo Draghi, anche perché da ciò dipende la concessione dei crediti europei da qui al 2026 che sono subordinati all’ammodernamento strutturale del nostro Paese.

 

 

Perché possa prendere avvio questo processo è necessario rimuovere le cause profonde dell’ingessamento che, da quasi sei lustri, blocca la società italiana – dal comparto privato a quello pubblico, in ogni suo profilo. Queste cause trovano nelle disfunzioni e nei ritardi del nostro sistema giudiziario la fonte originaria di ogni tipo di problematicità. A confessarlo è oggi lo stesso ministro della Giustizia, l’ex presidente della Consulta Marta Cartabia, la quale intervistata da Massimo Giannini su «La Stampa» ha sostenuto come sulla riforma della giustizia poggi l’intero Piano nazionale di ripresa. Ha infatti dichiarato: “se fallisce, molto semplicemente, noi non avremo i fondi europei”.

 

Come sostenuto da tempo, nell’Italia delle mille emergenze, in realtà la sola, vera e urgente emergenza si chiama appunto “giustizia” e l’imperativo categorico, per chiunque abbia a cuore contrastare il declino, deve essere quello di farla funzionare. Oggi così non è e né lo sarà se non si rimedieranno i guasti che la contraddistinguono. Guasti che vanno individuati, essenzialmente, nell’eccesso di discrezionalità dell’esercizio dell’azione penale, come pure nella sottomissione dei magistrati al condizionamento derivante dai loro stessi organi di rappresentanza.

 

I termini dei problemi concernenti la giustizia in Italia sono stati ampiamente dibattuti. Sia a livello tecnico-giuridico, sia nella coscienza collettiva dei cittadini è netta la percezione che il sistema giudiziario italiano condanna il Paese in un “quarto mondo” dove nemmeno si intravedono più i contorni dello Stato di diritto. La sua controproduttività è certificata in pratica ad ogni cerimonia di anno giudiziario, con la notifica delle ridottissime percentuali dei reati effettivamente perseguiti.

 

Il divario fra la percezione innata del senso di giustizia dalle sentenze pronunciate sconcerta il diffuso senso comune di ciascuno. L’elevato numero di detenuti in attesa di giudizio, come anche quello delle persone innocenti finite nel tritacarne mediatico-giudiziario testimoniano una perversione al limite della irrimediabilità.

 

Il ripetersi, senza conseguenze, di procedimenti contro grandi aziende nazionali (il caso del processo ENI per fantomatiche tangenti in Nigeria è solo l’ultimo di una serie) chiusi in un nulla di fatto, rivela l’incapacità di porre rimedio a un concentrato di pregiudizio e incompetenza di gravissimo nocumento alla nostra economia nel suo complesso.

 

La presentazione del Piano vorrebbe annunciare una svolta importante per l’Italia. Tutti affermano che siamo alla vigilia di un passaggio epocale, simile a quelli che hanno caratterizzato altri momenti della nostra storia come gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso, quando si avviarono cicli espansivi e di crescita non solo economica. Va ricordato, tuttavia, che in entrambi i casi citati ciò è avvenuto anche a seguito di un decisivo mutamento culturale.

 

Siamo entrati nei gloriosi anni ‘60 dopo aver rimosso i tardi retaggi di un autoritarismo arcaico e pre-moderno, aprendoci al sogno del benessere diffuso e delle libertà, promosse dalla lotta per i diritti civili. Altrettanto successe vent’anni dopo, quando il grigiore del pan-sidacalismo ingessava le possibilità di sviluppo e ci si mosse – a dire il vero con più di una contraddizione – verso una prospettiva di società dinamica e intraprendente.

 

Il pan-penalismo con il suo tragico portato del giustizialismo e della cultura del sospetto rappresentano le zavorre di questi ultimi trent’anni, che dovranno essere lasciate alle spalle se davvero vogliamo iniziare una fase nuova.

 

 



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