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19/04/24

Il Partito Democratico è privo di una radice liberale


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Lunedì, 29 Marzo 2021 17:44
  • Luigi O. Rintallo

Quando Augusto Del Noce coniò l’espressione “partito radicale di massa”, riferendosi alle metamorfosi intervenute su cattolici e comunisti affratellati dalle loro crisi ideali, seguite al Concilio Vaticano II e alla destalinizzazione del XX congresso del PCUS, non immaginava che essa sarebbe poi diventata un refrain della pubblicistica politica nel XXI secolo.

 

E nemmeno si poteva prevedere che la definizione, in uso soprattutto presso i saggisti di destra per indicare la nuova natura del progressismo nostrano irretito dal politically correct, coincidente in gran parte con quel PD che del cattocomunismo è l’erede, venisse fatta propria dalla dirigenza di quello stesso partito sforzandosi anzi di avvalorarla e confermarla.

 

Si dà il caso, però, che il PD sia tutt’altro che accomunabile a un partito radicale in quanto privo del connotato essenziale: avere una radice liberale. Lo si vede anche oggi, mentre il neo-segretario Enrico Letta, alla ricerca di un amalgama che tenga insieme le varie componenti, ha pensato di dare una spruzzata di colore all’ingrigita fisionomia del soggetto politico di cui è alla guida lanciando proposte sulla scia del movimento dei diritti civili degli anni ’70 del secolo scorso.

 

L’effetto è, tuttavia, lo stesso della vecchia signora imbellettata di cui scrive Luigi Pirandello ne L’umorismo: prima comico e poi patetico. E non soltanto per una questione temporale – è di tutta evidenza che non siamo più negli anni ’70 e al posto di una società in vitale fermento ci confrontiamo con comunità sfibrate e anestetizzate – ma perché le soluzioni indicate confliggono irrimediabilmente con la realtà data e, soprattutto, con quello che serve.

 

Rincorrere ancora le chimere multiculturali, mentre in Danimarca il governo socialista si preoccupa di scongiurare le enclavi a maggioranza di stranieri, dà il segno di un ottundimento della percezione dei fenomeni in atto. Manca il sano pragmatismo che è proprio del metodo di governo liberale della società e, viceversa, le stesse tematiche dei diritti sono assorbite secondo il vecchio vizio ideologico caratterizzato da rigidità e volontà di eterodirigere.

 

Altrettanto avviene sull’altro versante, posto in evidenza in questi primi interventi dalla segreteria del PD: quello delle differenze di genere e della promozione di leggi in loro favore. Anche in questo caso non ci si discosta da una impostazione che è tutt’altro che liberale: intervenire con la norma nella sfera delle prerogative individuali rimanda piuttosto a logiche da Stato etico, invasive e limitative delle libertà.

 

Chi prefigurò per tempo nella smania a legiferare su questi temi il vero intento, fu il militante omosessuale Mario Mieli in un suo saggio del 1977: Elementi di critica omosessuale. Scriveva Mario Mieli: "i gruppi della sinistra si sono messi a giocare il 'gioco' della tolleranza: da boia dichiarati, mille volte più ripugnanti delle marchette e dei fascisti, i loro militanti si stanno trasformando in 'aperti' protettori dei diversi, ed esorcizzano così il problema della repressione del loro desiderio omoerotico". E proseguiva: "come sempre i militanti della sinistra aspirano a diventare dei bravi poliziotti…".

 

Infatti, promuovono "l'invito a mettersi in riga, sotto questo o quel protettore politico". A cos’altro punta, infatti, la creazione di confraternite e associazioni, a loro volta portatrici di interessi e clientele? Il che ha ben poco a che fare con un reale processo di emancipazione culturale.

 

Nonostante i travestimenti, dunque, è ben difficile intravedere qualcosa dei radicali di un tempo nella deriva post-ideologica del politicamente corretto di cui sembra oggi pervaso lo schieramento progressista italiano e, in particolare, il PD. Proprio in essa va invece individuata una delle principali insidie contro le idee liberali, in quanto opera una grave deformazione dei contenuti che sono loro propri.

 

In sostanza è come se un’infezione si fosse prodotta a partire da un microrganismo sano: dalle premesse giuste sono derivati guasti che rischiano di pregiudicare la stessa salvaguardia dei principi fondanti della libertà.

 

 



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